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Ambiente

Surviving Progress, un kolossal ecologico fra filosofia, sociologia e scienza

Davide Mazzocco

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Uno scimpanzé entra in una stanza dove ci sono due barre a forma di L e verrà premiato con un frutto quando riuscirà a mettere la L in verticale sulla sua base più stretta e all’interno di un cerchio tracciato su di un tavolo. Una delle due barre, però, è stata sbilanciata e non può stare in piedi. Un bambino, sottoposto allo stesso esperimento, dopo alcuni tentativi prende consapevolezza di come lo sbilanciamento sia causato da un peso non omogeneo, dunque si pone una domanda. La differenza fra l’uomo e lo scimpanzé è tutta nel “perché”, nella ricerca delle cause e dell’interrelazione con gli effetti. Dallo scimpanzé l’immagine salta a una stazione orbitante. La suggestione kubrickiana è evidente nell’incipit di Surviving Progress, il documentario kolossal che è costato a Mathieu Roy e Harold Crooks ben sei anni e mezzo di ricerche, interviste e riprese in tutto il mondo.

Quali sono i limiti del progresso? Quali i punti di non ritorno prima dei quali occorre arrestarsi per non compromettere l’equilibrio del pianeta? A rispondere sono filosofi, poeti, biologi, scienziati, fisici, storici e sociologi. La scintilla di questo documentario che nelle prossime settimane verrà trasmesso da Arté è il libro Breve storia del progresso di Ronald Wright che, in maniera estremamente efficace, spiega come il 99,8% della nostra storia evolutiva (il nostro hardware) sia contraddistinto da attività di cacciatori-raccoglitori e solamente lo 0,2% (il nostro software) sia associabile alla civiltà e alla tecnologia. Pur avendo camminato sulla Luna, insomma, abbiamo pur sempre gli schemi mentali dei cacciatori-raccoglitori: “Come se il nostro ‘hardware’ non venisse aggiornato da 50mila anni”.

Il grande pericolo della nostra civiltà è che, per la prima volta nella storia, il mondo è interconnesso in un sistema unico: una crisi del sistema è una crisi globale e non può esserci, come accadeva invece in passato, una civiltà emergente in grado di raccogliere il testimone da una al tramonto. “Nei sei anni e mezzo del film – ha ricordato ieri sera Mathieu Roy dopo la proiezione – il mondo è molto cambiato. Quando abbiamo iniziato a fare le nostre ricerche nl 2005 e 2006 il dibattito sul progresso era concentrato sul riscaldamento globale, oggi sulla crisi economica. Abbiamo dunque cercato di ampliare lo spettro della nostra indagine in modo da creare un film universale non legato alla contingenza”. Che ruolo ha la tecnologia in questo scenario? “La tecnologia è sempre un’arma a doppio taglio – ha aggiunto Roy – e dipende dall’uso che facciamo di essa. Quando eravamo ancora cacciatori e abbiamo inventato un’arma per cacciare uno-due mammuth questa è stata un’evoluzione positiva, quando si è inventata un’arma per ucciderne un branco no. La tecnologia è positiva se l’uomo riesce a evitarne le trappole. Il problema è sempre l’etica con cui la tecnologia e la conoscenza vengono applicate. Pensiamo al capitalismo: finora non è stata trovata una soluzione alternativa a esso ma lo spirito neoliberista che ne è scaturito sta tenendo in scacco il mondo intero. Come regolarlo?  Ecco, se dovessi fare un nuovo film ora, partirei sicuramente dall’etica”. A breve termine, invece, Surviving Progress è da annoverarsi, senza dubbio, fra i grandi favoriti per il successo finale della quindicesima edizione di Cinemambiente.

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