Cultura
In tanti al Salone per ricordare Carlo Fruttero
La sala gialla del Lingotto è gremita, come per l’arrivo di una star della musica pop o della tv. E in effetti al tavolo dei relatori siedono parecchi personaggi “televisivi”, dalla coppia, ormai inseparabile, Fazio-Littizzetto, a Massimo Gramellini, da Mario Calabresi a Marcello Sorgi, dal sindaco Piero Fassino a Bruno Gambarotta. Ma la circostanza, bisogna ammetterlo, è insolita, perché nessuno di questi ospiti è il vero protagonista. Il posto d’onore spetta a una “guest-star” molto speciale (che speriamo ci perdoni quest’espressione anglosassone, così fuori luogo nella sua e nostra lingua). Si tratta di Carlo Fruttero, scrittore scomparso pochi mesi fa, uno degli uomini più acuti e leggeri (nel senso migliore del termine) che Torino abbia mai conosciuto.
L’incontro si intitola semplicemente “Ricordo di Carlo Fruttero”. Per fortuna non è una commemorazione in senso stretto: quasi nessun panegirico in stile “i defunti sono tutti meravigliosi”, basso contenuto di retorica (un uomo così schivo e autoironico non avrebbe di certo gradito incensi e allori). Conduce Maria Carla Fruttero, figlia dello scrittore, poi raggiunta dalla sorella Federica. Così per due ore (ma alla fine sembra sia passato molto meno tempo) quel nome tante volte letto sulle copertine di illustri bestseller diventa semplicemente “papà”.
Le voci di Gambarotta e Littizzetto (con il loro inconfondibile e leggermente comico timbro piemontese) sembrano perfette per interpretare la prosa dello scrittore. Poco a poco, riprendono vita pagine memorabili, da A che punto è la notte, al celeberrimo La donna della domenica, fino a Donne informate sui fatti, un piccolo miracolo narrativo, che pareva quasi impossibile dopo la tragica scomparsa dell’amico Franco Lucentini (con cui negli anni era nata una sorta di simbiosi letteraria e umana). Riemergono scorci di una Torino che oggi forse non c’è più, lugubre e sognante insieme, poetica, ma sempre a modo suo. Soprattutto emerge la figura di un uomo che sapeva guardare e raccontare la vita con inappuntabile eleganza, misto di umorismo all’inglese e understatement (pardon, sobrietà) tutta subalpina. E fare eccellente letteratura “con quel che c’era in casa”. Qualità così rare in un momento nel quale tutto è da prendere terribilmente sul serio, qualità che forse spiegano (almeno in parte) la sala piena.
Ma Fruttero, il diretto interessato, come reagirebbe davanti a tutta questa gente e a tutti questi discorsi su di lui? Possiamo azzardare qualche ipotesi. Forse si stringerebbe nelle spalle, ben nascosto dietro la sua solita espressione sorniona, e commenterebbe, come in una delle ultime videointerviste: “Vogliono parlare?… Che parlino”.
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