Cittadini
Torino, rischio involuzione nel trasporto disabili. Cresce il dissenso: “Si violano diritti essenziali”
Nel progressivo e inarrestabile smantellamento del Welfare causato dai tagli alla spesa pubblica questa volta è il turno del servizio di trasporto per i disabili del Comune di Torino. Nel suo blog Pionieri silenziosi, Lorenzo Montanaro aveva sollevato il problema due settimane fa riportando la dichiarazione di Enzo Tomatis, presidente regionale dell’Uici (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), secondo la quale l’approvazione del nuovo Regolamento del servizio di trasporto destinato a persone assolutamente impedite all’accesso e alla salita sui mezzi di trasporto e ai ciechi assoluti farebbe ripiombare i disabili motori e i ciechi assoluti “agli anni Settanta”. Già perché il regolamento comunale è nato 1979 e nel corso degli anni è stato logicamente adeguato all’inflazione e al mutamento del contesto sociale sino al Regolamento n° 255 approvato dal Consiglio comunale il 23 novembre 1998. La materia, inizialmente gestita dal Comune, da tempo è passata in carico alla Gtt che deve controllare gli aventi diritto visto che, nei tagli previsti, una delle novità sarà la preclusione del servizio per i disabili in possesso di un riserva personale di sosta. In buona sostanza i possessori di parcheggio dovranno scegliere fra le strisce gialle o i buoni taxi. Ma non è questo cambiamento a suscitare le maggiori perplessità.
Nella modifica del regolamento che, se approvata, dovrebbe entrare in vigore il prossimo 1° luglio, l’entità dell’accesso al servizio sarà relazionata alle fasce di reddito: da 0 a 10mila euro annui il buono sarà di 9 euro, da 10 a 20mila euro di 7, da 20 a 30 mila euro di 5 euro e così a scendere fino ai 2 euro. Con questo abbassamento dovrebbe venire allargato il bacino di utenza ma, considerando il fatto che i taxi arrivano spesso all’indirizzo di partenza con il tassametro a 3,50 euro, per i disabili lavorativamente attivi le spese di trasporto potrebbero diventare insostenibili.
Sul testo della modifica in attesa di approvazione si legge come il Regolamento sia “nato nel 1979 per consentire il pieno svolgimento della vita di relazione alle persone impedite all’accesso ai mezzi pubblici”. Ma i tempi sono cambiati e – si legge qualche riga più in basso – “la riorganizzazione delle linee e la progressiva sostituzione dei mezzi nonché la realizzazione della Linea 1 della Metropolitana (completamente accessibile all’utenza disabile) hanno consentito la fruibilità di un servizio di trasporto pubblico sempre più rispondente alle esigenze della cittadinanza”. Il problema di come arrivare da casa alla metropolitana e di come raggiungere il proprio posto di lavoro dalla più vicina fermata della metro viene evidentemente ritenuto di ordine secondario.
Per approfondire la questione abbiamo incontrato Angelo Castrovilli, 36 anni, impiegato in un’importante società di telecomunicazioni, rappresentante sindacale e consigliere della Circoscrizione Torino 4. Il personale e quotidiano confronto con le problematiche connesse alla disabilità motoria sono, da sempre, uno dei punti cardine della sua attività nel sociale. Ora che il Comune di Torino ha iniziato l’iter per la revisione del Regolamento del servizio di trasporto destinato a persone assolutamente impedite all’accesso e alla salita sui mezzi di trasporto e ai ciechi assoluti, Castrovilli è fra i sostenitori di alcuni emendamenti al testo.
Quali sono le modifiche che, come Circoscrizione 4, richiedete alla revisione del Regolamento di trasporto pubblico per disabili?
Nel testo il servizio viene precluso a chi ha un autoveicolo anche se non intestatario di una riserva personalizzata di sosta mentre noi chiediamo che la preclusione sia solo per chi possiede la patente. Inoltre, per quanto riguarda i vincoli sul reddito, chiediamo che vengano messi in relazione con le necessità lavorative dei singoli.
Quanto risparmierebbe il Comune di Torino?
Attualmente la spesa per questo servizio si aggira intorno ai 2,5 milioni di euro. L’abbassamento dei bonus dovrebbe avvenire sia dal punto di vista del numero delle corse (il cui tetto massimo passerebbe da 60 a 45), sia dal punto di vista dell’entità del bonus delle singole corse (9 euro per redditi da 0 a 10mila euro annui, 7 euro per redditi da 10 a 20mila euro, 5 euro da 20 a 30 mila euro, fino a scendere a 2 euro). Queste modifiche dovrebbero consentire al Comune di far accedere al servizio circa 1600 persone che sono in attesa, oltre alle 1600 che già ne usufruiscono. Ma, di fatto, con queste modifiche, il servizio diventerebbe inutilizzabile sia per i vecchi che per i nuovi utenti.
Perché?
Perché i taxi arrivano sotto casa con 3,50 euro di default, spesso anche con 5 euro. Personalmente per recarmi al lavoro spendo all’incirca 30 euro al giorno e la differenza che dovrei colmare sarebbe di circa 400 euro al mese. Al di là del mio caso, conosco persone che affrontano quotidianamente percorsi ben più lunghi e gravosi del mio per raggiungere il loro luogo di lavoro. Come si può, dunque, spendere oltre 400 euro per questo tipo di spostamenti? E chi è al di sotto dei 10mila euro annui di reddito come può permettersi di pagare la differenza?
Il testo prevede altre modifiche.
Una su tutte: la differenza fra il bonus della singola corsa e il suo effettivo costo andrà saldato immediatamente e non a consuntivo come accade ora. Inoltre, con il regolamento attualmente in vigore, il numero delle corse è relazionato allo stato di occupazione.
Ma il Comune che cosa ci guadagnerà?
L’esborso del Comune sarà solo virtuale perché con questi bonus le corse diminuiranno drasticamente. Per molti sarà impossibile o comunque problematico proseguire con la propria attività lavorativa.
Una sconfitta sul fronte del Welfare.
Il servizio è nato per garantire la mobilità dei cittadini disabili: una mobilità che comprende sia gli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro che quelli connessi alla propria vita sociale. Uno dei tecnici del Comune ha spiegato come i buoni non debbano essere usati per andare al cinema. Con questa logica, tolti gli spostamenti casa-lavoro, i disabili dovrebbero stare in casa. Ma i disabili sono inseriti nel tessuto sociale e hanno il diritto di partecipare attivamente alla vita della comunità. Io sono rappresentante sindacale e consigliere circoscrizionale il che vuole dire che, senza garanzie di autonomia di spostamento, verrò leso due volte: come libero cittadino nel mio diritto – sancito dall’articolo 1 della Costituzione – di lavorare e come politico in quello che è l’incarico di rappresentanza affidatomi dai miei concittadini.
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