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La Lega Nord in Piemonte: the day after le dimissioni di Bossi

Redazione Quotidiano Piemontese

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E’ stato come un fulmine a ciel quasi sereno la notizia delle dimissioni di Bossi da segretario della Lega Nord. Il creatore delle Lega, il suo capo carismatico lascia irrevocabilmente la sua carica in relazione alle inchieste in corso sull’amministrazione dei rimborsi elettorali. La Lega Nord è un partito profondamente radicato in Piemonte, con importanti amministratori locali, come il governatore stesso della Regione Roberto Cota che sintetizza in poche parole la situazione di sorpresa e vuoto: “Sono provato, è un momento molto difficile.Bossi ha dimostrato di essere una grande persona, con una grande umanità”. A questo si somma il fatto che nel triunvirato che è stato posto a gestire la transizione verso il futuro della Lega non ci sono rappresentanti del Piemonte leghista. Così si sommano i malumori al disorientamento

Il primo comune denominatore è il malumore per la mancata rappresentanza della nostra Regione nel triumvirato che dovrà traghettare la Lega verso il congresso federale. Perchè la Lombardia e il Veneto sì, mentre il Piemonte resta alla finestra? «Può anche esserci una logica, visto che pesano le percentuali di voto ottenute nelle singole regioni – riflette Walter Togni, deputato e uno dei pochi a metterci la faccia -. Certo: l’abbiamo notato tutti». «Maroni, Calderoli e Dal Lago sono persone di assoluta fiducia – stempera Michelino Davico, ex-sottosegretario agli Interni -. Andava bene anche Giorgetti. Bossi? Purtroppo è stato penalizzato dalla menomazione fisica, ma ancora una volta si è mosso per il bene della Lega. Senza di lui non si andrà da nessuna parte. Insomma: dobbiamo ricominciare da Bossi ma con Bossi». Esercizio, anche verbale, difficilissimo. «Non facciamo tragedie, nel triumvirato non è stata rappresentata nemmeno l’Emilia Romagna… mica potevano metterci tutti», si consola un compagno di partito. «Ma tra Piemonte ed Emilia c‘è una bella differenza! – lo rimbecca un altro cellulare -. Certo che doveva essere rappresentato, che diamine! Di certo non ci hanno fatto un regalo».

Il secondo «trait d’union» è la consapevolezza che la tegola non è stata poi così improvvisa. «Il giudizio su Belsito era negativo, ma non immaginavo implicazioni simili», conclude Togni. Altri sono ancora più espliciti. «I problemi erano noti da mesi – conferma un quadro del partito -. Purtroppo molti si sono girati dall’altra parte invece di battere il pugno sul tavolo. Dato il numero delle intercettazioni, temo che di letame ne emergerà ancora parecchio. Il Piemonte non è nel triumvirato? Ci hanno tagliato fuori, tanto per cambiare».

Nessuno infierisce sul vecchio capo. «Lui è una cosa, altra cosa le notizie che stanno uscendo», si interroga un leghista della prima ora. Pausa: «Il bubbone doveva scoppiare, meglio prima che poi, ma non pensavo così». «Belsito? Andiamo, bastava guardarlo in faccia – sbotta un altro -. Anche l’invadenza di quella Rosy Mauro, sempre a parlare dopo Bossi… non mi è mai piaciuta». Il futuro è un punto interrogativo.

 Il problema si riflette anche sulla leadership  di Roberto Cota
I cellulari sono roventi: che succederà ora?  Che fine faranno i protetti di Bossi nel momento in cui l’ex ministro dell’interno e i suoi prenderanno possesso delle leve di comando? Difficile poter dare una risposta oggi, a meno di ventiquattr’ore dalle dimissioni del leader, ma di certo Cota non se la passa troppo bene. L’ultimo passo falso, il governatore lo ha commesso al congresso “nazionale” del Piemonte, quando per essere rieletto ha stretto un patto d’acciaio con Roberto Calderoli, il quale, secondo quanto trapela dalle indagini, non sarebbe estraneo almeno a una parte degli addebiti contestati all’ex tesoriere Francesco Belsito e ai membri del clan. Oggi l’ex ministro della Semplificazione fa parte del triunvirato che dovrà reggere il partito fino al congresso federale, ma se la sua posizione dovesse aggravarsi? Lui che già era stato pizzicato a volare da Roma a Cuneo con aereo di stato, per andare a trovare la fidanzata Gianna Gancia, presidente della provincia Granda. Non è tutto. Cota fa anche parte del Consiglio federale ed è rimasto acquattato quando dopo lo scandalo Tanzania, Maroni chiese le dimissioni di Belsito. E questo è un momento in cui rischiano di pagare non solo i colpevoli, ma anche coloro che hanno chiuso entrambi gli occhi, i “pusillanimi” come li bolla un alto esponente del Carroccio. Tempo fa, inoltre, aveva liquidato come una “stupidaggine” il progetto dei “Barbari Sognanti”, la nascente corrente maroniana interna allaLega Nord. Infine, ed è storia recente, molti sottolineano la freddezza con la quale i due si sono salutati nella recente capatina di “Bobo” a Torino, quando si è esibito con la sua band, al Basic Village.

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