Cronaca
Agguato Musy, una settimana dopo: chi ha sparato e perchè? Parla un testimone
Resta ancora un mistero, una settimana dopo, il ferimento del consigliere comunale Alberto Musy, colpito il 21 marzo da sei colpi di pistola nel cortile del suo appartamento nel centro di Torino. Il procuratore capo Gian Carlo Caselli martedì pomeriggio ha ribadito – esattamente (o quasi) come il giorno dell’attentato – che “non è esclusa nessuna pista e le indagini proseguono a 360 gradi”.
Le condizioni del politico Udc vengono definite dai medici “stazionarie”, dunque Musy rischia ancora la vita per le conseguenza di un ematoma cerebrale. Martedì sera alcuni suoi amici si sono ritrovati per pregare in una chiesa nei pressi di via Barbaroux, dov’è avvenuto l’agguato. Dell’uomo che ha sparato finora ci sono solo le immagini delle telecamere dei negozi della zona: vestito di nero e con un casco bianco. Troppo poco, ancora, per arrivare a una soluzione.
IL TESTIMONE. “No. Adesso non sono affatto tranquillo, diciamo semplicemente che ho paura. L’ho visto bene, a pochi metri di distanza da me; l’ho tenuto d’occhio per almeno un quarto d’ora e lui mi ha visto, si è accorto che lo stavo guardando. Poi l’indomani ho letto i giornali e ho capito che era proprio lui l’uomo che ha sparato a quell’avvocato”. Lo ha dichiarato in un’intervista a La Stampa un uomo che mercoledì scorso in via Palestro avrebbe visto l’autore dell’agguato. “Aveva un atteggiamento strano: direi, in modo più preciso, molto sospetto. Ho pensato addirittura che stesse per fare una rapina a un negozio o qualcosa del genere. Andava avanti e indietro sul marciapiede, visibilmente nervoso, e tutto è durato almeno venti minuti buoni. L’ho tenuto d’occhio, l’ho osservato bene, l’impermeabile scuro, il modo di allacciarlo e il foulard o una sciarpa sul collo, seminascosto dalla parte inferiore del casco che gli nascondeva completamente il volto, non posso dire nulla sulla sua fisionomia, sui lineamenti, niente di niente. Aveva in mano una specie di plico di colore chiaro, una busta o una scatola di cartone, forse un giornale anche, lo teneva in una mano non si poteva capire cosa contenesse”.
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