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“La lotta dei No Tav? Una battaglia politica”. L’opinione di Angelo D’Orsi su MicroMega

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Angelo D’Orsi è professore di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. Da sempre vicino al movimento No Tav, dopo l’incidente di Luca Abbà ha scritto un editoriale (che vi riproponiamo) per MicroMega, il bimestrale diretto da Paolo Flores d’Arcais. Da notare lo straordinario fotomontaggio a corredo del pezzo di D’Orsi.

Il silenzio della politica, la politica ha taciuto, il disinteresse della politica… e via seguitando: è tutto un coro uniforme, nella stampa mainstream (ossia quasi tutta), a proposito della Val Susa, e degli ultimissimi eventi, tra la gigantesca, pacifica e per così dire sorridente manifestazione di sabato 25 nella Valle, gli scontri susseguenti alla stazione ferroviaria di Porta Nuova a Torino (a occhio mi è parsa una sorta di imboscata), e il tragico incidente che ha portato quasi in fin di vita Luca Abbà.

Ma anche, vorrei ricordare, le stupide contestazioni – da parte di alcune frange del movimento No Tav – a Gian Carlo Caselli, e i tentativi di impedire la presentazione di un suo libro. Proprio da lui vorrei cominciare (rispetto alla cui decisione di emettere mandati di cattura ai danni di alcuni militanti ho già espresso qui le mie perplessità, pur sottolineando i suoi meriti incancellabili di difensore della indipendenza della Magistratura e della dignità della Giustizia), da un suo commento alla notizia dell’incidente al traliccio: nessuna causa, ha detto Caselli, vale una vita umana. Ne è proprio sicuro?

Non parliamo degli articoli indecenti apparsi su fogli al di sotto di ogni sospetto quali Il Giornale e Libero, che irridono al militante Luca, ovviamente, i quali neppure possono giungere a concepire che esistano delle cause per le quali si può arrivare a mettere in gioco la propria libertà e addirittura la vita; parliamo invece del senso comune per cui “non vale la pena”, non vale mai la pena. Non vale la pena di battersi per “cause perse” – come è stato scritto, dando per scontato che quel nuovo treno attraverserà, ossia distruggerà la Valle –, non vale la pena di lottare contro decisioni assunte dal Parlamento (e perché mai, non si dovrebbe?), o peggio “ratificate” da trattati internazionali. Il Patto d’Acciaio tra Hitler e Mussolini non era forse un trattato internazionale? Era giusto? Ha portato bene al nostro Paese?

Se si segue la logica delle decisioni prese a livello istituzionale si accetta l’idea che ai popoli non resti che subire: piegare la testa sotto il peso di uno Stato che dovrebbe esercitare “un dominio fermo” su di essi, per citare il solito Botero, nella sua Ragion di Stato: ma eravamo nel 1589! Due secoli dopo ci fu la Rivoluzione della Bastiglia. Ed entrammo nella modernità. In mezzo quanta acqua, e quanto sangue, sono scorsi sotto i ponti non solo della Senna, ma anche della Neva, del Po e così via. Si sono combattute lotte secolari per restituire ai popoli una sovranità non solo apparente e formale, che non si limiti alla compilazione di una scheda elettorale. Sono decenni che parliamo di “partecipazione”, di “potere dal basso”, di “democrazia autentica”, eccetera. La battaglia contro il Treno ad Alta capacità (più che alta velocità, ma bisognerebbe parlare sempre piuttosto di “alta voracità” di gruppi finanziari e imprenditoriali, nonché delle cosche malavitose interessate) si inserisce precisamente in questo ambito.

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