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Iniziato oggi il processo agli “incaprettatori” di Pratomorone Tigliole

Redazione Quotidiano Piemontese

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Inizia oggi il processo giudiziario a carico di due astigiani, padre e figlio di Pratomorone Tigliole, nel torinese che lo scorso anno, dopo un sequestro di persona, hanno tenato di uccidere Massimo Barberis, decoratore 42enne di San Damiano d’Asti. La vicenda è nota per il modo in cui si sono svolti i fatti, in stile “Arancia Meccanica”, film sulla violenza giovanile.

Il più giovane dei Pettinato, incensurato, ha dichiarato di essere stato succube della volontà paterna e ha patteggiato la sentenza a 9 mesi di reclusione con il beneficio della condizionale. Suo padre, invece tornerà davanti al giudice il 14 marzo per la condanna. I fatti: la vittima stava tinteggiando, con un suo amico e collega, le pareti dell’abitazione della famiglia Pettinato, in una zona isolata, in aperta campagna, quando, senza apparente motivo, Antonio Pettinato, 64 anni, pensionato, pregiudicato per reati, alcuni recenti, contro la persona, e suo figlio Emanuele, 32enne imprenditore edile e muratore, hanno sequestrato Barberis, legandolo con una corda e trascinandolo fuori dall’abitazione.

Motivo dell’aggressione, secondo i due Pettinato, il furto in casa di 5mila euro. Anche l’amico di Barberis è stato picchiato, riportando ferite molto più lievi. Tutta la famiglia ha assistito alla scena, la moglie di Pettinato e un altro figlio, mentre Antonio ed Emanuele hanno legato ad un albero i due, incaprettandoli, ovvero bloccandogli, con la corda, mani piedi e passandola poi attorno al collo, in modo da assicurare un lento e progressivo strangolamento.

Non ricevendo la confessione del furto dei 5mila euro, i Pettinato hanno infierito su Barberis con calci e pugni e, alla fine, gli hanno sparato due colpi alle mani provocandogli fratture e numerose lesioni alle falangi. A quel punto, convinti dell’innocenza delle vittime, li hanno slegati e lasciati andare dopo ore di torture, almeno tre, dalle 19 alle 22 circa, minacciandoli di morte in caso di denuncia.

Barberis, in una pozza di sangue e con evidenti segni di strangolamento, ridotto quasi in fin di vita, è stato costretto a chiamare il 118, una volta a casa propria che, secondo la ricostruzione dei fatti da parte dei militari, avrebbe raggiunto accompagnato, con la sua auto, da uno dei Pettinato che sarebbe poi tornato a Pratomorone con un’altra vettura guidata da un suo familiare. Barberis, infatti aveva le mani avvolte in una maglietta all’interno di un sacchetto di plastica pieno di sangue e non avrebbe potuto guidare in quello stato.

Una volta chiamato il 118, sono stati allertati anche i carabinieri a cui Barberis, inizialmente ha raccontato una versione poco credibile degli eventi. Terrorizzato dalle minacce di vendetta dei Pettinato se avesse parlato e dalla violenza subìta, ha tentato di evitare la verità raccontando un’aggressione da parte di ignoti.

 

Nelle foto: i due accusati

 

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