Cultura
Giuliano Montaldo: “Torino città ideale per un regista”
Sorriso da eterno ragazzo e portamento da lord, Giuliano Montaldo non riguarda i suoi film, perché ciò che resta impresso sulla pellicola non è mai l’immagine che era nella sua testa. Ma de L’industriale, il film che esce in sala in questi giorni va immensamente fiero: a 81 anni ha fatto un film perfettamente calato nella realtà e, visto che è stato girato dodici mesi fa, c’è persino qualcosa di profetico nella storia dell’imprenditore Nicola Ranieri: “Pensavamo che quando il film sarebbe uscito in sala avremmo potuto declinare i fatti al passato ma, purtroppo, non è stato così. Ieri abbiamo presentato il film a Genova e dopo la proiezione si è aperto un dibattito con alcuni delegati della Fincantieri: ci è sembrato che continuasse il discorso di Favino agli operai. Davvero non immaginavamo che sarebbe accaduto quanto è successo negli ultimi mesi: i suicidi degli imprenditori nel nord Est e questo continuo scaricare le responsabilità di un governo sull’altro”. Durante le riprese ad Avigliana i confini fra realtà e finzione si sono fatti labili: “Non ce la sentivamo di girare in aziende rimaste vuote per la crisi e allora abbiamo trovato, ad Avigliana, un imprenditore che ci ha aperto le porte della sua azienda nella notte. Il nostro scenografo ha ricostruito l’occupazione ed è successo un ‘casino’ pazzesco: alcuni famigliari sono arrivati allarmati a chiedere cosa stava accadendo. Lì abbiamo capito che stavamo toccando un nervo scoperto”. Il film parla della media imprenditoria ma lo fa nella città dell’azienda simbolo della grande imprenditoria: la Fiat. “L’industriale del film conosce i nomi e le facce, con loro ha un rapporto diretto. È una situazione ben diversa da quella di un Marchionne. Ed è per il peso di questa responsabilità che molti imprenditori decidono di farla finita”.
Montaldo è generoso con i suoi attori: “Conosco Carolina Crescentini dai tempi in cui frequentava i corsi del Centro sperimentale di cinematografia di cui ero docente. Mi colpì il suo temperamento, la grinta, la passione per il mestiere. Per quanto riguarda Favino mi ha ricordato Gian Maria Volontè per il grande lavoro fatto per entrare nel personaggio, per l’impostazione, per la capacità di assumere tic e per la bravura nel gestire pause e silenzi. E per il suo sguardo che buca lo schermo: come diceva Frank Capra a un attore serve solo questo (con le mani parallele “incornicia” lo sguardo, ndr)”.
La fotografia metallizzata e gelida è stata frutto di una “scelta di campo”: alla fine della sesta o della settima versione della sceneggiatura ho scritto in un’annotazione che questo film io lo vedevo in bianco e nero perché una crisi non si può vedere a colori. Ne è nato un film decolorato, è come se si stesse in apnea, con il fiato trattenuto. Omaggiato dalla presenza del presidente Giorgio Napolitano (spettatore pagante, e sottolineiamo l’aggettivo pagante) nell’anteprima del Festival di Roma, Montaldo ha ringraziato i torinesi per la disponibilità e per l’apertura dimostrata durante le riprese: “Volevo girare in strade deserte e ci sono sempre riuscito. In un’altra città, che non voglio nominare, sarebbe finita in maniera ben diversa. Qui, invece, capito cosa stavamo facendo e di che cosa parlava il film, non abbiamo mai avuto problemi”.
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