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Cultura

Sottodiciotto Filmfestival. Intervista ad Alan Parker, una carriera fra musical e impegno

Davide Mazzocco

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Sir Alan PARKER

Seduto sul divano, pantaloni a coste e panciotto, Sir Alan Parker sembra un pacioso signore da Circolo Pickwick. Chi immaginerebbe che questo gentile e un po’ sornione 67enne londinese sia stato fra i maggiori fabbricanti dell’immaginario degli anni Ottanta con film come Saranno famosi e The Wall che non hanno segnato solamente un’epoca ma anche un’estetica? Autore trasversale capace di attraversare con disinvoltura i generi dal musical al film di denuncia, Parker ha scritto pagine memorabili del cinema degli ultimi quarant’anni alle quali Sottodiciotto Filmfestival, in collaborazione col Museo Nazionale del cinema, ha deciso di dedicare un’ampia retrospettiva. Quotidiano Piemontese lo ha incontrato questa mattina per un’intervista a 360°.

Sir Parker lei ha lavorato con attori americani e attori britannici, c’è qualche differenza?

Lavorare con gli attori britannici è più facile, mentre con gli americani talvolta ci sono problemi di cooperazione. Io, comunque, faccio sempre i miei “compiti a casa” valutando preventivamente, con grande attenzione, le caratteristiche individuali alla ricerca della giusta professionalità.

Lei ha lavorato anche con Madonna per il film Evita. Com’è andata sul set?

Quando Madonna ha girato Evita era la donna più famosa del mondo e non è stato facile. Si è trattato di un’esperienza splendida e, nei miei confronti, lei ha dimostrato grande rispetto e una professionalità fantastica. Purtroppo, però, non è stato lo stesso con le maestranze: costumisti, hair stylist e truccatori. Era al culmine della fama, nota quanto Evita Peron, e gestire la situazione si è rivelato estremamente complicato.

In Angel Heart le stelle erano addirittura due: Mickey Rourke e Robert De Niro.

Quando pensai a questo film il primo nome che mi venne in mente per il ruolo di protagonista fu quello di Jack Nicholson, attore col quale mi spiace di non aver mai lavorato. Poi si parlò di Robert De Niro nel ruolo di Harry Angel e di Marlon Brando in quello del diavolo. Alla fine De Niro decise di interpretare il diavolo e Mickey Rourke Harry. La gestione di entrambi è stata molto impegnativa. Rourke si è dimostrato capriccioso come un bambino. Sul set è stato molto divertente ma, al contempo, difficile da gestire. Visto l’enorme talento di cui disponeva, però, sapevo che ne sarebbe valsa la pena. Con De Niro, invece, i problemi sono stati di segno opposto. Robert pretende molto, ti pone continuamente delle domande e tu devi sempre avere la risposta. Durante le riprese di Angel Heart lui portava delle unghie finte e lunghe e mi diceva che si sarebbe dovuta far vedere la crescita. Io gli dicevo che il pubblico non lo avrebbe notato ma lui insisteva affermando che gli spettatori si sarebbero accorti se le unghie non fossero state più lunghe.

Come vede, da cineasta, l’attuale situazione politica?

Fare film con questa crisi diventa sempre più problematico. Quanto ai soggetti beh… sicuramente la vita del signor Silvio Berlusconi è molto più interessante di quella di Mario Monti. Per quanto riguarda la finanza credo che sia un mondo molto difficile da drammatizzare. C’è riuscito solo Oliver Stone con Wall Street che è un film molto bello.

E la posizione del suo Paese?

I governi conservatori non sono mai stati a favore dell’Europa, quindi non deve stupire ciò che sta accadendo ora.

Lei ha diretto Saranno famosi, film che ha segnato profondamente la generazione cresciuta negli anni Ottanta.

Inizialmente la mia sceneggiatura s’intitolava Hot Lunch ma dovetti cambiare il titolo quando mi accorsi che sulla 42esima strada proiettavano un porno con lo stesso titolo il cui protagonista si chiamava nientemeno che Alan Parker! Scelsi Fame (letteralmente Fama in Italia Saranno famosi, ndr). Feci quel film per parlare di questo gruppo di ragazzi ossessionato dalla celebrità. Ora, trent’anni dopo, c’è un’intera generazione che vuole il successo spicciolo con il ballo, il canto e i talent show. Il mio film è stato una preveggenza di quello che sarebbe avvenuto dopo.

Quando scrive da che cosa trae ispirazione?

In tempi di crisi ci sono due fonti d’ispirazione: la rappresentazione delle difficoltà e della ricerca di strategie e soluzioni per uscirvi.

Non è tentato dal 3D?

Personalmente non mi piace perché trovo che interferisca col messaggio drammatico ma devo dire che ho visto l’ultimo film di Martin Scorsese (Hugo Cabret, ndr) e non c’era nessuna interferenza con la storia.

E il suo rapporto con la tecnologia?

Quando vado a parlare in qualche scuola di cinema le domande riguardano sempre la tecnologia e quasi mai la drammaturgia. In realtà dovrebbe essere il contrario poiché chi vuole fare un film deve prima porsi altre questioni. Ho una storia? Come voglio raccontarla? I dettagli tecnologici devono venire dopo. Comunque apprezzo la riduzione del formato della camera che – come in The Millionaire – ha dimostrato di poter penetrare in posti prima impensabili. Al contrario non considero creativo il 3D.

Nel libro che accompagna la retrospettiva, edito da Cineforum, lei sembra voler chiudere ogni discorso riguardo a future regie.

Quando ero più giovane l’idea di svegliarmi sette giorni a settimana alle 17:30 e andare a letto ogni notte in uno sperduto Holiday Inn dell’Arizona non mi creava problemi, ora non è più tanto appetibile.

Oltre a Saranno famosi c’è un altro suo film che occupa un posto importante nell’immaginario collettivo: The Wall.

Lo abbiamo girato prima che nascesse Mtv ed ha avuto un vero e proprio effetto domino: vorrei avere un euro per ogni immagine di The Wall finita nei video musicali. Purtroppo, però, da quell’epoca non è cambiato nulla, anzi c’è stata una regressione. I videoclip si assomigliano tutti ed è un peccato perché la sfida di raccontare una storia in 3 minuti è davvero molto interessante.

Si può dire lo stesso anche dei musical?

I musical hanno un andamento sinusoidale con momenti di vuoto che, probabilmente, sono connessi a un minore interesse da parte del pubblico.

Cosa si prova a essere un creatore di immaginario collettivo?

Riuscire a fare film che cambiano l’immaginario collettivo e continuano a essere ricordati anche dopo trent’anni mi rende molto orgoglioso. È rassicurante – per esempio  – sapere che Fuga di mezzanotte continua ad avere un effetto duraturo nel tempo. Ancor oggi dà fastidio al governo turco e quando viene proiettato in quel Paese qualcuno fa stampare volantini che spiegano che sono cose che non accadono più.

Ma allora non ci sono davvero possibilità di rivederla all’opera?

Una sceneggiatura c’è ed è scritta da un portoricano-americano. Si tratta di una delicata storia d’amore che parla anche d’immigrazione. Un film che si farà solo se l’attore che ho in mente dirà di sì.

Chi?

Non ho intenzione di dire altro.

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