Cultura
Sottodiciotto Filmfestival. Intervista a Jaco Van Dormael regista-filosofo delle vite possibili
“Quello che tento di fare con il mio cinema non è di rappresentare la realtà ma i meccanismi del pensiero”. Non poteva essere più sintetico e più efficace l’autoritratto artistico di Jaco Van Dormael nell’incontro col pubblico del Sottodiciotto Filmfestival che ieri sera ha preceduto la proiezione del bellissimo Mr Nobody, film al quale ha lavorato per circa dieci anni e che in Italia non ha trovato e non troverà distribuzione. Tanto che nella proiezione al Massimo 1 il regista ha invitato tutti “i pirati a scaricarlo da Internet, perché lì si trova”. Quotidiano Piemontese lo ha incontrato questa mattina per discutere del suo cinema.
Questo film è stato preparato per dieci anni. Com’è nato?
Ci sono due cose che amo particolarmente: fare cinema ed essere vivo. Ma non sempre riesco a capire i rapporti fra le cause e le conseguenze che costruiscono quella che è la nostra esistenza. Questo film è il tentativo di far convergere ciò che è divergente nella nostra vita. Per sei anni, cinque giorni alla settimana, ho appuntato idee su questa storia su un centinaio di schede. Ognuna di queste schede è rimasta in una scatola a decantare per un anno; per la sceneggiatura ho trattenuto solamente quelle che sembravano avere un senso nella storia. Ho diviso le schede in tre atti. La sceneggiatura è importante perché se un film è scritto bene è facile girarlo, se è scritto male è un inferno.
Anche in Mr Nobody il destino e la casualità si confermano temi ricorrenti del suo cinema.
Il bambino del film si pone la domanda su quale sia la scelta giusta da compiere, l’anziano, invece, non può che constatare come tutte le scelte fatte siano valide. È come quando ti innamori: non sai perché ti accada proprio con quella persona. Quando ti succede puoi immaginare come sarebbe stato con un’altra persona oppure vivere pienamente la tua storia. L’importanza che io do a questi temi è connaturata al mio mestiere di sceneggiatore. Mi domando spesso: perché la mia vita è diventata questa e non un’altra? Io sono nato e cresciuto in Germania fino all’età di otto anni e ho trascorso l’adolescenza a interrogarmi su come sarebbe stata la mia vita se fossi rimasto lì invece dì trasferirmi in Belgio.
Il montaggio è una parte preponderante nei suoi film.
Dicono che ogni film venga sottoposto a tre montaggi: sceneggiatura, riprese e montaggio vero e proprio. Per me, però, esiste un quarto montaggio: quello che lo spettatore fa nella sua testa, come reagisce il suo cervello e che cosa porta con sé.
Mr Nobody ha molti punti di contatto con due film usciti successivamente al suo: Inception e The tree of life. Entrambi decostruiscono la sceneggiatura classica: il primo perlustrando la dimensione onirica, il secondo addentrandosi nei meccanismi della memoria.
Ho amato il film di Malick che si spinge molto più lontano del mio nel descrivere ciò di cui è fatta la vita. Ogni regista, sin dall’origine del cinema, può scegliere due vie. La prima è quella dei Lumière che ci mostrano la realtà e ci dicono di credere in ciò che vediamo, nel treno che entra nella stazione. Il secondo punto di vista è quello di Mèlies che dice di non credere all’immagine che lui ha della realtà. Quello che mi interessa è una terza via che passa in mezzo a questi due binari: non sapendo cos’è la realtà mi interrogo sull’elaborazione del pensiero ed essendo il cinema più libero della letteratura, posso facilmente passare da uno spazio, da un tempo e da un personaggio a un altro. Io passo parecchie ore della mia vita a scrivere storie in cui tutte le scene sono necessarie e convergono in una sola rassicurante direzione. Si tratta di storie diverse dalla mia, si tratta delle storie che vorrei vivere e il cui finale permette di trovare un senso e un ordine alle cause e alle conseguenze. Laddove la vita è arborescente, la narrazione è convergente, dunque rassicurante.
Il suo film tocca temi importanti ed è pervaso da una forte spiritualità. Lei è religioso?
Mio fratello lo era. Apriva la Bibbia e componeva musica. Io, invece, sono interessato più ai dubbi che alle certezze, più alle domande che alle risposte. Una delle missioni dell’artista è descrivere la complessità del mondo. Per Mr Nobody ho letto testi di fisica e mi sono confrontato con il premio Nobel per la fisica Ilya Prigogine. La fine delle certezze è il titolo di un suo libro che sarebbe calzato a pennello a Mr Nobody.
Cosa c’è nel suo futuro?
Attualmente sono a teatro con Kiss and Cry, uno spettacolo fra cinema, teatro e danza che arriverà a Torino l’autunno prossimo. Si tratta di una nanodanza: mia moglie Michèle Anne De Mey danza con le sue mani e racconta con piccoli pupazzi, trenini e sabbia una storia d’amore. Io e Michèle ci siamo chiesti come avremmo potuto fare un lungometraggio sulla tavola di cucina ed è nato così questo spettacolo di ottanta minuti che viene ripreso in diretta e trasmesso su uno schermo ma di cui non registriamo nulla. È cinema effimero che resta solamente nella memoria di chi lo vede.
Lei ha lavorato con Michel Bouquet, Daniel Auteuil e Jared Leto, tre diverse generazioni di attori. È cambiato qualcosa nel suo modo di dirigere?
Non ci sono grandi differenze se non quelle che emergono dal rapportarsi a personalità diverse. Ci sono attori ai quali occorre parlare molto, altri ai quali bisogna parlare poco. Alcuni preferiscono essere diretti sotto il profilo psicologico, altri hanno bisogno di avere indicazioni sul movimento corporeo. Devi capire quali sono le loro esigenze. Michel Bouquet è simile a un bambino perché è convinto che la qualità migliore di un attore sia la sua obbedienza. Anche con i bambini e con i disabili mi trovo molto bene poiché essi hanno l’intelligenza che necessita per recitare, vale a dire quella dei sentimenti. Loro non si pongono il problema del passo che dovrà fare la loro carriera o quale sarà la percezione del pubblico. Piuttosto, da quando ho cominciato, è cambiato il mio pubblico. Quando giravo Mr Nobody avevo l’impressione di fare un film per i miei coetanei e, invece, la risposta più positiva è arrivata dai ragazzi di 15-16 anni. I giovani d’oggi sono più aperti alla complessità del mondo. Il cinema è nato con una struttura complessa, basti pensare a Intolerance. Poi si è ricercata una semplificazione. Ma i giovani sono abituati alla complessità e non hanno affatto l’ansia della comprensione.
Il suo film non ha trovato distribuzione in Italia. Può spiegarci cosa è successo?
Mr Nobody è stato un fiasco totale ed è il film di cui vado maggiormente fiero. Ogni film è al contempo un’opera d’arte e un oggetto commerciale. I cineasti fanno film d’arte e le produzioni fanno flussi di film, flussi tubolari che vanno dalla produzione al pubblico. Il mio film non è stato percepito come un “tubo” e, pertanto, è rimasto bloccato. La mattina stessa in cui il film è stato presentato in Francia sono stato chiamato al telefono alle 12 e mi si è detto che il film era morto. Sia la Wild Bunch che la Pathè hanno deciso di non investire nella distribuzione del film in Italia e in Gran Bretagna. In Francia è stato un fiasco: ci sono stati più spettatori paganti a Mosca che a Parigi. Ci sono state isole felici come Belgio e Spagna ma altrove il film non è piaciuto. Per questo dico che fare un film è come buttare una bottiglia in mare, non sai mai se qualcuno sarà in grado di raccoglierla.
Nei suoi film la musica riveste una grande importanza. Com’è stato lavorare con suo fratello Pierre?
Lui ha sempre scritto le musiche per farmi un piacere visto che i suoi interessi erano altri: il jazz e Bach. Quando si gira un film è difficile trovare un musicista con il quale lavorare bene sulle musiche. Quando ha scritto la colonna sonora era già malato di tumore ai polmoni e non è riuscito a eseguire tutti i brani che aveva realizzato. Siamo stati un mese in studio di registrazione, soltanto io e lui, senza il fonico, a registrare la colonna sonora. Ha lavorato in apnea: suonava per un minuto e mezzo, poi ventilava, poi riprendeva per un altro minuto e mezzo. È stato il regalo più magnifico che potesse lasciarmi.
La versione che si è vista a Sottodiciotto è la director’s cut. Com’è uscita al cinema?
Il film è uscito in sala con una versione più corta di 20 minuti e proprio questo taglio è stato oggetto del braccio di ferro fra me e la produzione. La versione integrale è uscita in Dvd e si può tranquillamente piratare su Internet… Sul contratto c’era scritto che io avrei avuto l’ultima parola sul final cut e la produzione mi ha detto che se fossimo andati al processo probabilmente avrei vinto io. Ma mi hanno anche detto che, possedendo i diritti per trent’anni, non lo avrebbero fatto uscire. Ma d’altronde che cos’è il successo? Puoi fare un film che tocca facilmente un largo pubblico o farne uno che tocca un pubblico ristretto in profondità. Puoi stringere la mano a un migliaio si spettatori che ricorderanno il tuo film per trent’anni oppure aspettare che ti arrivino fax con numeri importanti. In un caso o nell’altro tutti i film finiranno nell’oblio.
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