Seguici su

Cultura

Quel leghista di Giuseppe Verdi. O forse no?

Redazione Quotidiano Piemontese

Pubblicato

il

Ormai lo sappiamo: la Padania esiste davvero. Esiste sulla carta geografica, esiste perché “la si mette in rapporto con i Länder tedeschi” (resta da chiedere ai Länder tedeschi se a loro volta sono così sicuri dell’accostamento), esiste “in virtù di quell’Europa dei popoli di cui parlava Maroni”. Insomma: esiste punto e basta. E come ogni Stato che si rispetti ha il suo inno. Diritto sacrosanto e ineccepibile, cristallina espressione musicale dell’identità di un popolo. Quale sia l’inno in questione è storia ben nota: non O mia bela madunina e neppure La mula de Parenzo che ga meso su botega, ma niente meno che il Va’ pensiero di Giuseppe Verdi. Francamente c’è da domandarsi quali considerazioni abbiano ispirato la scelta.

Il Va’ pensiero, coro tratto dall’opera Nabuccodonosor (Nabucco per gli amici) è il canto degli Israeliti deportati in terra di Babilonia. Le sue parole, scritte dal librettista Temistocle Solera, sono liberamente ispirate al salmo 137 della Bibbia. Ma fin dalle prime recite del Nabucco (era il 1842) molti vollero scorgere in quei versi un’allusione all’Italia, sogno vagheggiato e ancora tutto da costruire (“o mia patria sì bella e perduta”). La musica, “una grande aria cantata da soprani, contralti, tenori e bassi”, come la definì Rossini, sembrava fatta apposta per cullare ideali, nostalgie e speranze. Definire il Va’ pensiero un canto risorgimentale tout-court non sarebbe corretto, però trasformarlo in un inno secessionista fa davvero sorridere.

Sui legami tra Giuseppe Verdi e l’Italia sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Per molto tempo i libri di storia hanno descritto il ‘cigno di Busseto’ come un fervente patriota e un cantore della nazione unificata. Oggi, giustamente, la critica musicale è più prudente su questi temi, ma certi dati restano innegabili. Tanto per fare qualche esempio, Verdi compose la musica per un ipotetico inno nazionale (poi non adottato perché considerato troppo operistico). Non solo: Verdi fu membro del primo parlamento d’Italia, come Alessandro Manzoni. A questo punto una domanda sorge spontanea: I promessi sposi, che iniziano in “quel ramo del lago di Como”, sono da considerare come opera dell’ingegno leghista?

In attesa di conoscere la risposta ci permettiamo una congettura (forse la sola possibile) sulla scelta del Va’ pensiero come inno della Padania. “Verdi: chi era costui? – devono essersi chiesti i consulenti musicali leghisti –  Difficile dirlo, ma uno che di cognome si chiama Verdi può essere solo dei nostri”.

 

Iscrivi al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese