Cultura
Pater, metacinema per parlare della mala politica
La sceneggiatura più sorprendente di queste prime giornate di Torino Film Festival arriva dalla sezione Festa Mobile. Il film è Pater di Alain Cavalier che ne è anche protagonista insieme a Vincent Lindon. Siamo dalle parti del metacinema, dell’effetto notte truffautiano, della mise en abyme ma il film è un perpetuo confondere le carte, basculando dalla vita reale alle prove, dal girato alle divagazioni. Senza soluzione di continuità, senza didascalie. Alain Cavalier si è fatto le ossa come aiutante di Louis Malle, poi ha intrapreso una lunga e discontinua carriera da regista cinematografico che dura da oltre cinquant’anni. Cresciuto in piena nouvelle vague, oscurato dalle teste di serie, Cavalier si e ci regala un’inattesa perla di senile saggezza e di fresca spontaneità. Con l’amico Vincent Lindon (da qualche anno a questa parte uno dei migliori attori d’Oltralpe) gioca a impersonare il Presidente di Francia che erudisce il suo delfino, l’uomo candidato a succedergli all’Eliseo. Prendiamo Vanya sulla 42esima strada del suo maestro Louis Malle. Lì gli attori si incontravano e dopo un breve preambolo iniziavano a provare senza costume e in un teatro vuoto. Qui l’ambiguità fra gioco e finzione non viene delimitata. Cavalier e Lindon provano un film che non si farà mai perché il film, quello vero, è fatto dalle prove del film che non si farà. E di divagazioni.
C’è Lindon che sbotta contro i propri vicini di casa con un monologo anti-consumistico. Ci sono i due attori che provano le scene mangiando a tavola. Il metacinema diventa il pretesto per una caustica critica della società contemporanea. Il cavallo di battaglia del pretendente all’Eliseo sarà una legge per imporre un salario massimo così come ve ne è uno minimo. Chi – eletto dal pubblico – ruberà anche solo un euro sarà perseguibile. L’equità, il ridimensionamento del gap di stipendio fra operai e amministratori delegati, sono queste le proposte del presidente ovverosia le idee care a Cavalier. Lindon fa Lindon e con estrema naturalezza alterna il Lindon che parla dei fatti suoi, al Lindon che prova, al Lindon che discute la sceneggiatura e al Lindon che recita. Pater è la prosecuzione del documentario con altri mezzi? O è una fiction? Di certo non è un mockumentary, perché non si ricostruisce nulla e perché non si enunciano le regole e i confini fra finzione realtà. Si provano scene che sono finalizzate alla prova stessa. Nei tempi morti si parla di doping nello sport come a voler dire che anche negli ambiti utopicamente riservati all’educazione vincono i valori del denaro e dell’arrivismo. Anche i media ammalano i sani: “Nei videoclip non si vedono che donne che si contorcono e denaro a palate”. Al candidato all’Eliseo arriva una foto estremamente compromettente del suo avversario, roba da spegnerne in un secondo la carriera politica: “Non mi importa, non voglio fare ciò che non vorrei fosse fatto a me” dice Lindon. L’indiscrezione verrà usata solamente in via del tutto privata: “ Se vincerò potrò dirgli che ho vinto anche senza questa foto. Se perderò potrò dirgli: ‘Hai visto che galantuomo sono stato: avrei potuto vincere grazie a questa e, invece, non l’ho fatto’”.
I due mangiano molto, bevono, ridono. Un divertissement, una sceneggiatura sorprendente, complessa solamente se le si fa resistenza, se non ci si fa trascinare dalla corrente di un film che ha il suo punto di forza proprio nella (più o meno ricercata) spontaneità. Sarebbe piaciuto a Orson Welles questo film che gioca (joue, gioca o recita nella lingua originale) con l’ambiguità fra verità e rappresentazione fino alla frase conclusiva: “Se è un film allora è reale”.
In programma lunedì 28 novembre 16:45 Massimo 1, martedì 29 novembre 11:45 Massimo 1, mercoledì 30 novembre 22:00 Greenwich Village 3.
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