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Cultura

I Torinesi secondo Osvaldo Guerrieri

Davide Mazzocco

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Torino città di santi (sociali), poeti (malinconici), intellettuali (rivoluzionari), capitani d’industria e anche  mascalzoni. Freddi e distanti? Bogianen? Osvaldo Guerrieri spazza via luoghi comuni a suon di biografie. Nessuna ambizione enciclopedica e nemmeno l’intenzione di trovare il minimo comun denominatore del genius loci. Semplicemente una galleria di Torinesi che hanno fatto la storia della città negli ultimi 150 anni. Sono racchiusi in “famiglie” e raccontati con il giusto peso fra sintesi biografica e gusto per l’aneddotica. Sono i santi sociali come don Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso e Francesco Faà di Bruno, sono le eccellenze dell’arte, dell’artigianato e dell’industria come Alessandro Antonelli, Francesco Cirio, Vincenzo Lancia, Marcel Bich e Raffaele Gualino. Sono gli intellettuali, i poeti, i pensatori gli scrittori e gli artisti che fanno di Torino la capitale culturale e morale del Novecento italiano: Guido Gozzano, Amalia Guglielminetti, Piero Gobetti, Felice Casorati, Carlo Levi, Mario Soldati e Primo Levi.

Sono le stelle dello spettacolo come Arturo Ambrosio che fa nascere e crescere il cinema a Torino, come Erminio Macario, principe della rivista, come Fred Buscaglione, meteora del jazz prematuramente scomparsa. Ci sono Vittorio Pozzo e Giampiero Combi, commissario tecnico e portiere del primo successo “mondiale” della nazionale italiana di calcio. Non mancano le anime nere. L’epopea criminale di Pietro Cavallero, lo specialista delle rapine in sequenza che seminò il panico negli istituti bancari del Nord Ovest cinquant’anni fa, e Rosa Vercesi, la dark lady di San Salvario che nell’Italia del fascismo uccise la donna alla quale doveva saldare un debito.

Poi, i fuoriclasse. Tre Torinesi fuori norma, i più affascinanti e incatalogabili. Gustavo Adolfo Rol, il sensitivo capace di legge nel pensiero, di scrivere a distanza e di esperimenti paranormali (girare una carta scelta dai suoi ospiti, in un mazzo ancora sigillato). Lo consultarono anche De Gaulle e Mussolini che volevano usare i suoi poteri per scopi militari. Poi Giulio Einaudi, vulcanico e intraprendente fondatore (nel 1933) della casa editrice che porta il suo nome e che ha educato generazioni d’italiani ai valori della libertà d’espressione gettando incrollabili ponti sulle letterature di tutto il mondo. Infine, last but not least, Gianni Agnelli, il cui ritratto va ben oltre quello del signor Fiat. Intellettuale, playboy, esteta, eccezionale oratore, personalità sfaccettata, per molti l’ultimo monarca dei Torinesi che gli tributarono un fluviale saluto nella camera mortuaria del Lingotto. La galleria di Torinesi si chiude con lui e con la Fiat, l’azienda indissolubilmente legata alla città ma anche quella che la città ha trasformato facendo da catalizzatore dell’immigrazione e, dunque, dell’ibridazione dei suoi abitanti. Dalla prima ondata, quella proveniente dal Sud, si è passati alla seconda ondata, quella dell’immigrazione extra-comunitaria. La nuova identità dei Torinesi nasce dall’integrazione e dalla proficua assimilazione della diversità. Come sempre il capoluogo piemontese è laboratorio di idee e avanguardia e questo lo si deve (soprattutto) ai suoi abitanti.

Osvaldo Guerrieri, I Torinesi, Neri Pozza, 2011, pag. 360, 17,50 euro

Info: www.neripozza.it

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