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Cultura

11 settembre dieci anni dopo. Lo studioso: “Assurda la guerra al terrorismo”

Redazione Quotidiano Piemontese

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Sicuramente tutti ci ricordiamo dove eravamo e che cosa stavamo facendo in quel momento, cioè in quel pomeriggio (mattina in America) di dieci anni fa, quando d’improvviso la televisione ha iniziato a mostrarci una specie di film impazzito. Era l’11 settembre 2001: il giorno più assurdo, il giorno senza parole. Nel tempo abbiamo visto e rivisto i fotogrammi delle torri che si sbriciolano, ogni volta con un senso di sgomento e impotenza. Può un solo giorno cambiare per sempre la storia del mondo? Quali possibilità abbiamo di capire quella tragedia, a un decennio di distanza? Qp lo ha domandato a Luigi Bonanate, docente di Relazioni Internazionali all’Università di Torino, autore di un recente saggio intitolato Undicisettembre. Dieci anni dopo (Bruno Mondadori, 2011).

Nel libro lei afferma: “Siamo stati tutti vittime degli attacchi, ma ne abbiamo discusso pochissimo”. Che cosa intende?

Voglio dire che è mancata una riflessione sul significato politico dell’accaduto. Tutti hanno enfatizzato gli aspetti emotivi e mediatici. Qualcuno, cinicamente, ha perfino usato la categoria del sublime. Ma quasi nessuno ha tentato di descrivere l’avvenimento in termini di rapporti internazionali. Sul mondo islamico l’11 settembre ha avuto conseguenze devastanti: è stato un clamoroso autogol. Paradossalmente, perfino gli stessi attentatori sono stati espropriati di un atto terroristico sproporzionato, ben più grande di loro. Di quell’atto terroristico si sono appropriati gli Stati Uniti, che lo hanno usato come pretesto per mettere un piede in Afghanistan (guarda caso, sulla via della Cina) e un piede in Iraq (guardo caso, vicino all’Iran, sopra un mare di petrolio).

Lei è molto critico nei confronti della politica di Washington.

Sì, certo. L’espressione “guerra al terrorismo” è un evidente controsenso. Le azioni di polizia sono utili e necessarie quando si tratta di fermare i terroristi, gli esecutori materiali degli attentati. Ma il terrorismo è una realtà diversa. Combatterlo con un’azione uguale e contraria è assurdo, come usare un cannone per colpire una mosca. L’unica strada per combattere il terrorismo è la democrazia: fermare il circolo della violenza con un comportamento antiviolento. La democrazia non si può esportare. Forse, però, è possibile innamorarsene.

Cito ancora il suo libro: “L’esatta ricostruzione dei fatti non risulterebbe così rilevante per comprendere la portata dell’episodio che, da chiunque sia stato voluto, ha il contenuto che tutti sappiamo”. Non crede invece che ricostruire i fatti sia il solo modo per fare chiarezza? 

Certo, tutti vorremmo sapere esattamente che cosa è successo, ma purtroppo non sempre questo è possibile. E la storia va avanti lo stesso. A volte bisogna arrendersi all’evidenza. Pensi all’omicidio Kennedy: a distanza di decenni ci sono ancora tanti punti oscuri. Ed è solo un esempio tra mille. Ma questo non significa che dobbiamo rinunciare a comprendere la realtà. Dal mio punto di vista, studiare l’11 settembre significa soprattutto concentrarsi sulle sue conseguenze, più che sulla dinamica degli attentati in sé. Ecco perché, nel libro, ho affrontato solo in modo marginale la tesi complottista e le versioni diverse da quella ufficiale.

Molti hanno parlato dell’11 settembre come di una drastica rottura col passato. E’ stato davvero così?

Non direi. La caduta delle torri gemelle rappresenta indubbiamente un fatto inaudito, di portata planetaria. Ma io ritengo che la vera cesura storica sia avvenuta nell’89, con il crollo del muro di Berlino e la fine dei regimi sovietici. In quel momento tutti i modelli politici costruiti fino ad allora sono entrati in crisi. Non funzionavano più né il bipolarismo (la guerra fredda era finita), né l’unipolarismo (le pretese egemoniche degli Usa nascondevano una fragilità di fondo). Tantomeno si poteva parlare di democrazia internazionale (un sistema pacifico con tanti attori sullo stesso piano). Già nell’89 iniziava a prender forma quell’universo caotico, violento e frammentato che oggi conosciamo. L’11 settembre non è stato un inizio, ma solo un passaggio. Una conseguenza più che una causa.

Nella loro spaventosa violenza, gli attentati al World Trade Center sono stati, come lei scrive, “la più grande messa in scena della storia universale”. Aspetti spettacolari si ritrovano anche in un episodio più recente: l’uccisione di Osama Bin Laden da parte delle forze speciali americane. Che giudizio dà di quell’evento?

Ripenso al commento del presidente Obama: “Giustizia è fatta”, un’affermazione che francamente si poteva evitare. E’ evidente che il leader di Al Qaeda andava fermato, ma nell’operazione ci sono alcuni aspetti paradossali. Per dieci anni abbiamo cercato Bin Laden. Poi, immediatamente dopo averlo ucciso, lo abbiamo nascosto. E’ un grave errore mediatico, che a mio avviso denota una scarsa capacità di governo da parte del presidente Obama. Non ha avuto né l’esperienza, né il polso necessari per far fronte alla situazione. E purtroppo, nonostante gli entusiasmi iniziali, anche la promessa di un decisivo cambio di rotta nei rapporti internazionali finora non è stata mantenuta.

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