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Cultura

Nel cuore della realtà. I documentari senza immagini di Docu Sound

Davide Mazzocco

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Fabrizia Galvagno, Matteo Bellizzi e Andrea Vaccari sono Doc in progress, una casa di produzione torinese che si è affermata negli ultimi anni unendo – come recita l’intro del loro sito www.docinprogress.com – “la sensibilità dello sguardo” all’“abilità delle mani”. Dopo tanti lavori nell’audiovisivo, però, i tre filmmaker hanno scelto di escludere dalla loro documentazione della realtà proprio le immagini. È nato così Docu Sound un sito che si propone di fungere da aggregatore di audiodocumentari. Abbiamo intervistato la produttrice Fabrizia Galvagno.

Com’è nata l’idea di Docu Sound?

Io, Matteo Bellizzi e Andrea Vaccari veniamo da anni di esperienza nei documentari video e, a un certo punto, abbiamo sentito l’esigenza di dedicarci al semplice ascolto. Normalmente siamo abituati ad ascoltare solamente ciò che vediamo quindi, anche grazie al supporto dell’Unione Nazionale Ciechi, abbiamo dovuto imparare ad ascoltare ciò che la realtà ha da raccontare anche senza l’immagine.

Qual è stato il ruolo dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti?

L’Uic è molto sensibile all’eliminazione delle immagini e ha immediatamente intuito le potenzialità di un prodotto mediatico fruibile come ascoltatore ma anche realizzabile in qualità di produttore. L’eliminazione delle immagini, infatti, mette vedenti e non vedenti nelle medesime condizioni, mentre nel sistema mediatico odierno i non vedenti vengono tenuti fuori dalla comunicazione.

Come siete strutturati?

Noi tre valutiamo i progetti e ne supportiamo la produzione. Vi sono degli incontri aperti a tutti e nei quali, mi preme sottolinearlo, non ci sono differenze fra vedenti e non vedenti, anzi, cerchiamo proprio di salvaguardare una parità nella quantità dei partecipanti. Abbiamo diversi collaboratori, come fossimo una rivista.

In Italia siete una novità ma all’estero com’è la situazione?

Nel mondo anglosassone la cultura del reportage audio è molto più diffusa, penso al sito statunitense Mediastorm che abbina all’audio anche le fotografie. Ma, guardando alla Francia, mi viene in mente l’incredibile quantità e qualità degli audiodocumentari di Arteradio. Insomma, l’audiodocumentario non lo abbiamo certo inventato noi. Il nostro obiettivo, semmai, è di diffonderne la fruizione fra il pubblico e di utilizzarlo per sensibilizzare l’opinione pubblica su alcune cause.

Nella civiltà dell’immagine la vostra scelta è palesemente in controtendenza.

È stato un modo per “rinfrescare” il nostro metodo di lavoro. È sempre utile imparare un nuovo modo di interpretare il proprio mestiere e questa esperienza ci ha permesso di approcciare la realtà in una maniera diversa. Ci sono cose che con le immagini si raccontano meglio ma descrivere un tramonto in un audiodocumentario può essere un interessante esercizio di stile. Internet ti dà modo di arrivare a un pubblico vasto e variegato e ciò ti permette di arrivare a nicchie che, prima del suo avvento, sembravano irraggiungibili. Pensiamo alle persone anziane che hanno perso la vista: loro sono cresciute con la radio e, quindi, non devono apprendere ad avere dimestichezza con l’ascolto ma soltanto riscoprirla.

 

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