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La Provincia: da Rattazzi a Calderoli, storia e funzioni dell’ente più odiato dagli italiani

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Da un lato ci sono gli abolizionisti duri e puri (Fli, Udc, Idv, il quotidiano Libero), dall’altro gli indecisi (Pd, parte del Pdl). Fatto sta che sulle Province il 5 luglio la Camera ha registrato l’ennesima bocciatura di un emendamento sulla loro soppressione, proprio grazie ai voti di chi – l’abolizione – ce l’ha scritta sul programma: berlusconiani (hanno votato contro) e democratici (che si sono astenuti). Un’astensione, quella del partito di Bersani, che ha fatto infuriare alcuni presidenti di Provincia di centrosinistra, tra cui il torinese Saitta: “Al Pd chiediamo di scegliere subito la strada da percorrere, strada di riforme profonde che può e deve riguardare tutti i livelli istituzionali del paese: ma basta con la nostra delegittimazione”. Se poi si aggiunge a tutto ciò la recente ricerca Confesercenti che parla di un risparmio, in caso di abolizione, di 7 miliardi annui, la tenaglia attorno agli enti più odiati dagli italiani diventa davvero troppo stretta. In realtà le Province svolgono un ruolo importante nell’architettura istituzionale italiana, e la loro abolizione (al di là della vulgata populista) dovrebbe essere accompagnata da un intelligente riordino di competenze territoriali. Ma ‘intelligenza e ordine’ sono due parole che non sempre – in Italia – vanno di pari passo.

LA STORIA. Le province italiane sono territorialmente 110, cui corrispondono 107 amministrazioni provinciali (Aosta, Bolzano e Trento sono autonome), suddivise in 20 regioni. Nello Stato sabaudo preunitario l’ordinamento provinciale era stato definito dal cosiddetto decreto Rattazzi che stabiliva (sul modello francese) l’organizzazione del territorio in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni. La provincia nasceva così come ente locale dotato di propria rappresentanza elettiva e di un’amministrazione autonoma. Fu solo con l’avvento del regime fascista che venne abolito il principio elettivo e Consiglio venne sostituito dal Rettorato (di 4, 6 o 8 rettori in base alla popolazione) e dal Preside, di nomina regia, che accentrava le competenze della Deputazione e del suo Presidente.

Con il dopoguerra si giunge alla ricostruzione delle Province in senso democratico, con la ricomparsa dei Consigli provinciali (1951). La legge fissava a 45 il numero dei consiglieri, e a 8 i membri della Giunta. Il Presidente veniva eletto dal Consiglio tra i suoi componenti. L’ultima evoluzione delle norme amministrative degli enti locali è venuta con il Testo unico sull’ordinamento delle autonomie locali (Legge 267/2000). Il 30 giugno 2010, è stato infine approvato dalla Camera il disegno di legge di riforma degli enti locali “Carta delle Autonomie locali”, che individua le funzioni fondamentali delle Province. Attualmente il testo è all’esame della Commissione affari costituzionali di palazzo Madama.

LE FUNZIONI. La Provincia è titolare di funzioni fondamentali, proprie o conferite con legge dello Stato e della Regione di appartenenza. Si tratta di un ente con una propria autonomia statutaria (nel senso che può dotarsi di uno statuto), finanziaria (può imporre tributi), amministrativa e normativa (può stabilire alcune norme per i cittadini). Eppure la domanda che sentirete fare dall’uomo della strada sarà, sempre e comunque: “Ma a che servono queste Province?”. E qualcuno, più avveduto, risponderà: “Curano le strade!”. Il che non è del tutto falso, ma limita di molto le funzioni di quest’ente tanto bistrattato.

Ad essa sono infatti affidate funzioni amministrative che variano dai settori dell’ambiente, territorio e infrastrutture (smaltimento rifiuti, viabilità, difesa del suolo, tutela dell’ambiente e delle risorse idriche, prevenzione delle calamità, trasporti, controllo degli scarichi delle acque, delle emissioni atmosferiche, caccia, pesca nelle acque interne, agricoltura) al settore dei servizi alla persona ed alla comunità (tutela e valorizzazione dei beni culturali, edilizia scolastica, formazione professionale). Non si tratta dunque di compiti di scarsa importanza, nè di cui sarebbe possibile fare a meno. Ciò non toglie che una discussione sugli eccessivi costi della politica, e dunque anche sul ruolo delle Province, è chiaramente necessaria: da 92, quante erano le Province nel 1960, sono arrivate a 110 con circa 63mila tra dirigenti e impiegati. Un numero chiaramente eccessivo, ma che non andrebbe combattuto con sterili slogan populisti.

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