Cultura
“Figli di carta fratelli d’Italia”: quando il Risorgimento passava dal Bicerin
Come romanzo è un po’ eccentrico, forse somiglia più a un ciclo di racconti. E’ anche un libro di storia, ma in un modo tutto suo. Difficile congelare in un’unica forma Figli di carta fratelli d’Italia (Giancarlo Zedde Editore), l’ultima fatica letteraria di tre autrici piemontesi: Daniela Cigliano, Silvana Delfuoco e Roberta Massirio. La copertina ci mostra i contorni stilizzati dello Stivale, una catena di bimbi per mano, lettere tricolori: indizi sicuri che ci fanno assaggiare l’argomento. Il testo approda nelle librerie in un anno di grazia, nel quale un Paese intero, malato cronico di miopia storica, sembra aver riscoperto di botto la freschezza dei suoi anni fondativi: Garibaldi e Cavour sono tornati alla ribalta, insieme all’inno di Mameli, il tutto accompagnato da un fiume di pubblicazioni sul Risorgimento. Questo libro arricchisce il dibattito in corso con un punto di vista molto originale, antiretorico. E con un retrogusto inconfondibilmente subalpino.
Tutto si basa su un gioco di prospettive. A tenere insieme la storia sono tre voci femminili: Daniela, Silvana e Roberta. Sono le autrici stesse, che si affacciano dalle pagine. In un romanzo storico: ma com’è possibile? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Legate da un’inossidabile amicizia e da una comune esperienza di insegnamento, Cigliano Delfuoco e Massirio hanno già firmato insieme un altro libro, MediEtà (Giancarlo Zedde Editorie) di cui ora ripercorrono le vicissitudini post-editoriali (il “post partum”, come scherzosamente scrivono). Raccontano le presentazioni nelle librerie di tanti angoli di Piemonte, le fatiche e le difficoltà di trovare una nicchia in un mondo che parla, scrive e grida continuamente. Spiegano quanto sia difficile prendersi cura dei propri “figli di carta”, i libri, che come i figli biologici a un certo punto smettono di appartenere ai genitori per seguire un destino autonomo. Così, spontaneamente, i viaggi in macchina, le visite ad alcuni luoghi simbolo, le tante discussioni tra il serio e il faceto diventano l’occasione per accedere alla storia risorgimentale, quella grande storia che con decisione e discrezione prende posto negli interstizi biografici delle autrici.
Niente di pomposo o di trionfale: gli eroi d’Italia sono, in questo libro, figure speciali, ma umanissime. Silvio Pellico è un bibliotecario, lo sguardo un po’ mesto dietro gli occhialini azzurri, che conversa con la “cara amica Juliette”, la contessa Giulia Falletti di Barolo; Camillo Cavour è un uomo concreto, profondo conoscitore di vigneti e agricoltura; Costantino Nigra è quasi uno 007 dell’Ottocento, che si muove tra intrighi e complotti internazionali puntando sul suo fascino per carpire qualche notizia segreta. Ci sono anche personaggi di pura invenzione. Piccoli eroi come Lucetta, una ragazza del popolo, coraggiosa e intelligente, che per qualche istante intreccia la sua vita con quella di un nobile, Edoardo: due mondi che si sfiorano, troppo lontani per potersi davvero incontrare. O forse no? Il finale è aperto. Uomini pieni di ideali come Enrico e Giovanni, che si imbarcano da Quarto con Garibaldi. Accade spesso nei romanzi: le storie dei singoli, portatrici di un’energia tutta speciale, finiscono per diventare più vere del vero. Dopo un po’ che leggiamo, siamo pronti a scommettere che una ragazza di nome Lucetta, in servizio presso il palazzo dei conti A. e tra i tavoli del Bicerin, gli occhi celesti e una passione per la lettura, sia esistita davvero. Esattamente come Mazzini e Garibaldi.
Il libro è scritto con uno sguardo ironico che si rivela fin dall’introduzione: “Daniela sognò Costantino Nigra che spediva MediEtà in codice cifrato a Cavour, Garibaldi che corteggiava Federica (protagonista, come Michela, del primo romanzo, ndr), l’editore Zedde che faceva segnacci rossi sullo spartito di Fratelli d’Italia, Michela che mangiava un grosso luccio alla griglia al ristorante I bersaglieri di Goito”. Somiglia a certe “bagatelle” rossiniane dell’ultimo periodo: è scritto con serietà (perché il lavoro di documentazione è sempre visibile sottotraccia) ma senza prendersi troppo sul serio. E con un approccio critico, del tutto assente in altri libri a tema risorgimentale. A proposito dell’avventura dei Mille, le autrici fanno dire al garibaldino Giovanni: “Io non ho liberato proprio niente. Io sono stato complice di una guerra fratricida, non un eroe! (…) Noi ci siamo trovati nel mezzo di una guerra che non sempre abbiamo capito, burattini nelle mani di altri. (…) Hanno distrutto, incendiato, violato donne, ammazzato bambini: quelle colpe ricadranno anche su di noi”.
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