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La razionalizzazione di Cota e i tagli di Tremonti: a chi serve davvero la riforma della sanità?

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“Sanità: cambiare si può”: è stato questo uno degli slogan con cui la Lega del governatore Cota si è presentata agli elettori durante la campagna del 2010. Eppure oggi – alla luce dello scandalo che ha coinvolto (tra gli altri) l’assessore Ferrero – ci si chiede il perchè di quella richiesta di cambiamento. Dati alla mano, infatti, la nostra regione risulta tra quelle qualitativamente più virtuose, ma non solo: anche dal punto di vista della spesa, siamo subito dietro le cinque regioni “esemplari”, e gli ulteriori tagli deriveranno soprattutto dalle riduzioni dei trasferimenti da Roma. È una questione che va affrontata tenendo bene in mente cosa voglia dire federalismo sanitario e quanto costerà al Piemonte.

LA RIFORMA TANTO CARA ALLA LEGA. Costi standard regionali per la sanità e individuazione delle regioni benchmark (ovvero punti di riferimento nazionali) sono i due cavalli di battaglia dello schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale approvato nel 2010 dal Consiglio dei ministri (l.n.42/2009). La riforma, fortemente voluta dal partito di Roberto Cota, dice che per determinare i costi e il fabbisogno standard regionale nel settore sanitario si dovrà fare riferimento alle tre regioni scelte dalla Conferenza Stato-Regioni tra le migliori indicate dal ministero della Salute. ovvero quelle capaci di garantire “livelli essenziali nell’erogazione dei servizi di assistenza in condizione di equilibrio economico scelte sulla base di criteri di qualità, appropriatezza ed efficienza”.

Come si pone il Piemonte rispetto a questi criteri virtuosi? Secondo un’analisi del 2009 (dunque durante il tramonto dell’era Bresso) del centro di ricerche Cerm sulla spesa sanitaria italiana, se si escludono Lazio (accomunabile al Sud nelle performance negative), Trentino Alto Adige e Liguria (che spendono troppo), il Nord fa registrare livelli di spesa non particolarmente distanti dai livelli stimati come efficienti: il Piemonte (insieme a Toscana, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Lombardia) dovrebbe dunque operarsi per riduzioni inferiori al 3% (senza bisogno di rivoluzioni). Anche in altre tabelle la nostra regione si pone appena al di sotto delle migliori, e per costi e per qualità. Addirittura meglio della Lombardia per quanto riguarda gli aggiustamenti necessari tenendo conto di livelli standard di spesa e qualità, con un aggiustamento percentuale della spesa effettiva dello 0,5% (contro lo 0,9% dei vicini di casa).

In un’altra indagine (sempre del Cerm) – ma questa volta durante il governo Cota, nell’agosto del 2010 – il Piemonte mostra, insieme a Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta, livelli qualitativi sufficientemente prossimi al benchmark, ma dovrebbe riuscire ad ottenerli con una spesa minore (qui le tabelle su sovraspesa e deficit di qualità dei vari sistemi sanitari regionali).

“RAZIONALIZZAZIONE, NON TAGLI”. Così Cota durante la presentazione del suo piano di riforma, nel gennaio del 2011: “Negli ultimi 15 anni la spesa sanitaria in Piemonte è triplicata, mentre nelle altre regioni è solo raddoppiata. Ha raggiunto l’82% dell’intero bilancio. Se non si interviene oggi razionalizzando e tagliando gli sprechi, domani non saremo in grado di garantire i servizi”. La riforma sanitaria della giunta Cota è – tuttora – fonte di aspre polemiche tra il Pdl e la Lega Nord, tanto da far balenare in casa Pd il sospetto che tutto il baillame attorno alla sanità sia dettato da una più modesta “riorganizzazione dei poteri, visto che la proliferazione dei primari è avvenuta durante l’amministrazione di centrodestra targata Ghigo” e dunque con una maggioranza in mano all’attuale Pdl.

Centrale nel progetto di riforma (ancora molto fumoso) sarà comunque lo scorporo della gestione delle funzioni di produzione ospedaliera, che verrà concentrata nelle Aso, da quella dei servizi territoriali, che rimarrà alle Asl. L’obiettivo dichiarato è quello di “risparmiare 150 milioni di euro nei prossimi tre anni”: come sarà possibile senza tagliare in settori importanti è un mistero che lasceremo risolvere a Cota e al prossimo assessore regionale (visti i problemi, in questi giorni, della Ferrero). La domanda di fondo, però, resta sempre la stessa: a chi serve la riforma?

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