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Morire d’amianto. A Cinemambiente il film sul processo Eternit. Il pm Guariniello: “Sogno una Procura nazionale del lavoro”

Davide Mazzocco

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La sala Uno del Cinema Massimo è stracolma. Da Casale Monferrato sono arrivati in molti. A guidare il gruppo casalese ci sono Nicola Pondrano e Bruno Pesce, da quasi quarant’anni sulle barricate per difendere il diritto alla salute dei lavoratori dell’Eternit e degli abitanti della cittadina monferrina entrati in contatto con la fibra killer. Una lotta caparbia e lunga quasi una vita che Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller hanno deciso di raccontare in Polvere. Il grande processo all’amianto, il film presentato in concorso nella sezione Documentari italiani del Festival Cinemambiente. Il film comincia a tavola con Pondrano che rievoca il suo arrivo in Eternit l’11 novembre 1974 e la figura dell’operaio Pietro Marengo che vedendolo giovane e spensierato gli dice: “Cosa sei venuto a fare qui? Sei venuto a morire anche tu?”. Pondrano spensierato ci resta per poco tempo: sin dai primi mesi in Eternit nota che i manifesti mortuari cambiano di settimana in settimana, con età che oscillano dai 45 ai 60 anni. Per tutti la diagnosi è la stessa: mesotelioma pleurico. Insieme a Bruno Pesce – che presiede la Camera del lavoro di Casale Monferrato – iniziano le prime rivendicazioni sindacali; negli anni Ottanta il problema viene portato alla luce e si imbastiscono le prime azioni legali individuali. Nel 1986 l’Eternit chiude, qualche anno dopo viene bonificata ma di mesotelioma si continua a morire: 50 nuovi ammalati ogni anno.

Nell’aprile del 2009 il Comitato Vittime Amianto, insieme agli omologhi di Cavagnolo, Bagnoli e Rubiera in Emilia, gli altri centri interessati dal problema, riescono a portare in tribunale con l’accusa di omicidio colposo, disastro e omissione di cautela antinfortunistica Ernest Schmidheiny e Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, i proprietari di Eternit all’epoca dei fatti contestati. Principale artefice di quest’impresa (sono tremila le parti civili iscritte nei registri del processo) è il procuratore Raffaele Guariniello, l’uomo che, a partire dagli anni Settanta, ha rivoluzionato le cause per infortunio e per malattie professionali intuendo la possibilità di definire le responsabilità non in sede civile ma in sede penale. È proprio lui, dopo la proiezione, ad approfondire i temi scaturiti dalla visione del film. Il pm spiega come già nei primi anni del Novecento vi fossero avvisaglie dei danni provocati dall’amianto sulla salute: “Soltanto negli anni Cinquanta, però, se n’è avuta la certezza in ambito scientifico, mentre per quanto riguarda i vertici industriali il nesso di causalità fra esposizione all’amianto e mesotelioma è diventato noto negli anni Sessanta. A Torino siamo venuti in contatto con questo problema a metà degli anni Settanta e, inizialmente, le contraddizioni fra il diritto al posto di lavoro e diritto alla salute ci hanno creato non poche difficoltà”. Qui Guariniello sottolinea come in quarant’anni i progressi non siano stati poi così evidenti: “Il ricatto occupazionale mi sembra ancora molto diffuso, anche nel 2011”. Il caso Thyssen Krupp (altro processo che ha coinvolto il pm in prima persona) lo dimostra.

“L’Italia ha una normativa del lavoro all’avanguardia, il problema è che, frequentemente, queste norme restano inapplicate – spiega Guariniello -. Tutelare la sicurezza sul lavoro significa farle applicare, effettuare processi brevi laddove queste sono state violate e fare in modo che i pm che affrontano questi processi abbiano una preparazione specifica”. Il processo doping alla Juventus, quello alla Thyssen Krupp, quello al liceo Darwin di Rivoli per la morte di Vito Scafidi, sono tanti i casi che hanno visto Guariniello impegnato sul fronte della difesa dei lavoratori: “Non è bello sentir dire come Torino sia all’avanguardia in questo tipo di cause se ciò significa che il resto d’Italia rimane totalmente scoperto. Qualche tempo fa sono stato in una procura calabrese nella quale operano bravi pm. Ho parlato con il procuratore capo il quale mi ha detto che negli ultimi 10 anni sono stati aperti soltanto 21 fascicoli per infortuni sul lavoro. Gli ho chiesto come mai la cifra fosse così bassa e mi è stato risposto che i medici hanno paura a fare i referti e che la gestione degli infortuni è in mano agli uomini d’onore”. La soluzione? Guariniello non ha dubbi, lo va ripetendo da anni: “Il sogno che coltivo da tempo è quello di una Procura nazionale del lavoro”. Un organismo strutturato sulla falsariga dell’antimafia che coordini le cause sul lavoro nel frammentatissimo panorama delle procure italiane. Ma il traguardo più immediato è il processo Eternit che ha in calendario quattro udienze nel mese di giugno (14, 20, 28 e 29). La speranza è che il giudizio di primo grado arrivi alla fine del 2011. Ma il processo italiano all’Eternit è già un punto di riferimento a livello mondiale: in ottobre si aprirà la causa in Belgio ed è probabile che prima o poi anche la Francia rivendichi un risarcimento per le tante, troppe vittime della fibra killer.

 

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