Cultura
Salone del Libro. Come diventare scrittore, la lezione di Umberto Eco
Il direttore editoriale Ernesto Ferrero sale sul palco e domanda: “Ci può essere un Salone del Libro senza Umberto Eco?” Poi sporge il microfono al pubblico e raccoglie il no corale e prolungato. Pare di essere in un concerto rock e, invece, comincia la lectio magistralis dell’autore de Il nome della rosa sulle costrizioni dello scrittore. Perché, contrariamente all’immagine cara agli antichi della divina mania che invade l’animo dell’artista portandolo alla creazione, ogni processo artistico è in realtà una lenta, lunga e paziente opera di artigianato. “Ogni mio libro è nato da un’immagine seminale – esordisce Eco -. Per Il nome della rosa è stata l’immagine di un monaco avvelenato mentre legge un libro in una biblioteca, per Il pendolo di Foucault il pendolo stesso e il ragazzo che suona la tromba a un funerale di partigiani”. Se per qualcuno “una volta che crei il personaggio e la situazione ti puoi mettere in poltrona e aspettare che la storia vada avanti da sé”, per Eco il processo creativo è decisamente più articolato: nella fase preparatoria delle avventure di Guglielmo da Baskerville lo scrittore alessandrino ha trascorso mesi a disegnare piantine dell’abbazia in cui si sarebbe svolto il suo romanzo.
Chi allinea parole in forma d’arte deve darsi una disciplina e questa disciplina arriva solamente grazie alle costrizioni che lo stesso autore mette nel mondo che sta creando. Ma sulla letteratura Eco fa un distinguo molto preciso: “In poesia il significante (le parole) condizionano il significato (il contenuto), in prosa avviene il contrario, il contenuto determina le parole che si utilizzano”. Analizzando una famosa poesia montaliana Eco dimostra come il rispetto della rima condizioni ciò che compare sulla pagina: “‘Foglia riarsa’ fa rima con ‘rivo strozzato che gorgoglia’ ma se ci fosse stato ‘rivo strozzato che borbotta’ allora il male di vivere sarebbe stato espresso da una ‘grotta’”. Eco si spinge al paradosso dei lipogrammi, storie private di una lettera come il romanzo senza “e” di Perec, Disparition, o addirittura alla sua poesia-lipogramma alla mamma scritta utilizzando la “a” come unica vocale. Un gioco? Certo ma che dimostra quanto una costrizione istradi l’autore verso una direzione ben precisa. Quando i personaggi del Nome della rosa percorrono un tragitto all’interno dell’abbazia, Eco formula dialoghi che si esauriscano nel tempo verisimile di quel tragitto: “Certo il personaggio viaggia da solo ma bisogna dargli delle costrizioni delimitarne l’incedere con alcune ‘barre di grafite’. La letteratura si basa sulle costrizioni: pensate all’inflessibile costruzione dei canti di Dante, pensate alla rima, al metro ma è lo stesso anche in pittura se si sceglie olio o tempera. Le costrizioni sono fondamentali per l’arte”.
Ma le costrizioni possono venire anche dal contenuto. Ogni scelta creativa implica una reazione a catena che lo stesso autore non può controllare fino in fondo, tanto da rimanerne talvolta vittima. Date, fatti, personaggi vanno fatti combaciare come in un immenso puzzle dove anche una sola tessera nel posto sbagliato può mandare in frantumi l’intero disegno. Umberto Eco è scrittore da lunga gestazione, lontano dai colleghi che pubblicano un libro all’annoe descrive la fase preparatoria del romanzo come una “situazione onanisticamente deliziosa” in cui quando si assapora una lingua salmistrata già il pensiero corre al come fra finire quel sapore sulla pagina. E quando il romanzo è finito rimane un grande malinconia: “Da colmare andando in giro a raccontare bagatelle, come ho fatto io oggi con voi”.
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