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Cultura

25 aprile, una lunga festa in musica nel nome della libertà

Davide Mazzocco

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“Credo profondamente che arte e musica siano sempre una forma di liberazione. Quando l’arte riesce a essere veramente libera compie un grande dovere civile”. Ci voleva il filologo romanzo Niccolò Fabi, cantautore di buona penna, per far cogliere a una piazza San Carlo stracolma il senso di un concerto di oltre nove ore che si rinnova ogni 25 aprile per non dimenticare il giorno della Liberazione. Si è cominciato a metà pomeriggio con la Fanfara della Brigata Alpina Taurinense, poi, alternati agli studenti di licei e università che hanno letto brani sulla libertà e sulla Resistenza, sono saliti sul palco Antica Officina, Gianmaria Testa (atteso in serata per analogo impegno al concerto di Alba), Architorti, Brain Pollution, Gema con Il dubbio di Davide, Chiara Canzian, Federico Sirianni, Les Sans Papier e poi, ancora, Pablo e il mare, Carlot-ta, Overock, Mambassa e The Wonkies. Dopo l’ora di cena la piazza ha iniziato ad affollarsi con il rock pearljamesco dei canavesani Inferno di Orfeo che hanno annunciato in canzone il decesso di Babbo Natale. A scaldare la piazza, un po’ freddina e in stand by in attesa dei pezzi da novanta, ci hanno pensato i brasiliani Selton con il loro originale progetto musicale che mescola le sonorità dell’indie-rock sudamericano con i testi di Enzo Jannacci e Cochi e Renato. “Vengo anch’io?” chiede il frontman Ramiro Levy, “No tu no” risponde la piazza. Rock, marcette beatlesiane (le stesse che suonavano per le strade di Barcellona prima di venire prodotti dall’Istituto Barlumen) e un po’ di punk e la piazza è conquistata. Nel cambio di palco il presentatore Capitan Freedom annuncia l’arrivo nel backstage del candidato sindaco Michele Coppola e dal pubblico partono fischi e cori di contestazione.

Il concerto prosegue con Munfrà, il concept album degli Yo Yo Mundi dedicato al Monferrato. Il loro folk che richiama sonorità celtiche e bals musette parigine racconta storie “a km 0”. Il leader Paolo Enrico Archetti Maestri invita a continuare a difendere la libertà a partire dal referendum per l’acqua pubblica, poi parte una trionfale Bella ciao trasformata in un inno rock. Sul palco sale Serena Abrami, giovane cantante marchigiana a un passo dalla laurea in urbanistica che negli ultimi mesi ha ottenuto un notevole successo con il brano Lontano da tutto scritto per lei da Niccolò Fabi. Ed è proprio al riccioluto cantautore romano che Abrami passa il testimone dopo un omaggio ai Velvet Underground con la strafamosa Walk on the wild side. Fabi guarda la piazza ormai strapiena e parla del potere liberatorio e del dovere civile di un’arte sincera e non compromissoria. Non è e Costruire, paradigmi della sua autorialità colta, sensibile ed emozionate, lasciano il posto a Tempo d’estate, uno dei suoi primi grandi successi che diventa reggae e poi si trasforma in Walking on the moon dei Police, e a Lasciarsi un giorno il cui finale è eclissato da un trionfale applauso.

Il cambio di palco prima dei Subsonica è piuttosto lungo e dalla folla, a colmare il silenzio, si alza in maniera del tutto spontanea un inatteso Bella ciao. Poi arrivano loro, i più attesi. Samuel annuncia che quello che seguirà sarà il loro primo concerto da seduti: “E ora vediamo se riusciamo a trasformare questa piazza in un’acustica Discoteca labirinto”. Loro sono seduti ma la piazza balla. Un paio di pezzi poi Samuel abbandona lo sgabello: “Ragazzi non ce la faccio a stare seduto”. Non con Tutti i miei sbagli. “In ogni epoca c’è qualcosa di cui doversi liberare – spiega il cantante -. Quello per cui dobbiamo lottare oggi è la possibilità di essere informati su quanto avviene veramente nel nostro Paese”. Coriandoli a Natale, Quando, Un giorno di pioggia, anche da acustici i torinesi confermano come il live sia il loro terreno ideale: “Abbiamo voluto fare quest’esperienza per noi un po’ surreale per far vedere che nei Subsonica non è poi tutto così complicato e che, in fondo, quel che conta è soltanto la musica”. Boosta scherza col pubblico: “Ora facciamo Istrice anche se non l’abbiamo provata. ‘Raga’ mi raccomando: fate partire l’applauso altrimenti i miei amici si chiudono”. E fra il pubblico si espande virale l’approvazione: “Ma è meglio dell’originale” dicono in molti. L’ultimo regalo, prima del lento defluire verso casa, è un reggae. Quale genere più adatto per concludere una giornata in nome della libertà?

 

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