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Torinese, 23 anni, fotografo e volontario: nostra intervista a Marco Alpozzi, dentro l’emergenza. La fotogallery del campo profughi in Tunisia

Redazione Quotidiano Piemontese

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Marco Alpozzi, 23 anni, professione fotografo. Che ci fa un giovane reporter torinese in un campo profughi in Tunisia?

“Sono andato giù per realizzare un servizio di documentazione per la Croce Rossa Italiana, ero al seguito del contingente andato per allestire cucina e impianti di potabilizzazione dell’acqua nel Transit Camp dell’IFRC al confine tra Tunisia e Libia. È la mia prima missione internazionale, ma devo dire che andare a fotografare le macerie dell’Aquila  il 7 aprile, il giorno dopo il terremoto, è stata un’esperienza per me più impattante, più sconvolgente del campo profughi”.

Dove sei stato precisamente e che situazione hai trovato?

“Dal 23 marzo all’8 aprile al campo Choucha, in Tunisia, a 7/8 km dal confine di Ras Jadir, frontiera con la Libia. È il campo più grande tra quelli gestiti dall’Agenzia migranti dell’Onu. Ospita persone provenienti dall’Africa nera, Costa d’Avorio, Ghana, Somalia, Eritrea, e poi dal Bangladesh, dall’India. Libici pochi, pochissimi, al campo c’erano persone che in Libia ci lavoravano, in un numero sempre diverso, da 6 a 22mila, un flusso continuo di gente che viene e che va. La situazione era molto diversa da quello che mi aspettavo, o meglio dall’immaginario comune del campo profughi: non bambini con la pancia gonfia e le mosche che gli girano intorno, ma persone normalissime”.

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Com’è la vita al campo Choucha?

“Normale, ripeto, tutti si sforzano di costruirsi una routine quotidiana, con un senso di rassegnazione, se così si può dire, lontanissimo dal modo occidentale di reagire alle tragedie e alle difficoltà. Tutti sono puliti e ben vestiti, le donne fanno il bucato, gli uomini gestiscono la famiglia, i ragazzi giocano a pallone, qualcuno aveva in tenda il generatore per radio e tv”.

Qual è il compito della Croce Rossa Italiana?

“Produrre pasti per il transit camp, dai 150 del primo giorno ai 4.000, tra pranzi e cene, delle cucine a pieno regime. Il menu è stato deciso insieme Word Food Program: riso o cus cus, verdure, carne, un piatto unico com’è nella loro tradizione. Per gestire questi numeri, sono stati assunti cuochi e personale locale”.

Hai parlato con la gente?

“Sì certo, ci si capiva tra inglese, francese, italiano e gesti. Mi chiamavano italiano, la prima volta che mi vedevano, da quella successiva ero Torino o Juventus. Ho fatto amicizia con un ingegnere somalo, che in Libia lavorava per una società petrolifera, il suo sogno è venire in Europa e convertire la sua laurea.  Un altro faceva il fotografo nei villaggi turistici, un collega. C’erano tre bambini bellissimi, tre fratelli penso, che senza dire una parola volevano che gli facessi delle foto ogni volta che mi vedevano. Spesso gli uomini mi invitavano nelle loro tende, arredate come se fosse casa. Il sogno comune è venire in Europa dove tutti hanno parenti o amici,  anche perché quasi tutti arrivano da paesi in guerra, comunque da situazioni non facili. Per loro, lavorare in Libia era già un salto di qualità, alcuni vivevano lì da 30 anni. Adesso il futuro è un grosso punto di domanda”.

In Europa, in particolare in Italia, stanno arrivando in tanti. Al campo profughi hai avuto il sentore di traffici di immigrazione clandestina?

“No, per niente. Piuttosto si parlava di traffici di confine, nella città di Ben Guardene al confine tra Libia e Tunisia, benzina, materie prime e chi sa cos’altro. Per quanto riguarda i flussi migratori,  la situazione è più complessa di quanto non possa apparire, ci sono tanti movimenti diversi ma paralleli, non è tutta la stessa cosa come a volte sembra da fuori. Una cosa è il movimento dalla Libia alla Tunisia, soprattutto come dicevo di persone provenienti dall’Africa nera. Un’altra l’immigrazione verso l’Italia e l’Europa, per esempio a Settimo stanno arrivando soprattutto tunisini”.

Tornato in Italia, hai ripreso il tuo lavoro di documentazione per la Croce Rossa a Settimo. Raccontaci.

“A Settimo la Croce Rossa Italiana gestisce un centro polifunzionale in un ex cantiere Tav, in collaborazione con il Comune di Settimo. Nella quotidianità ci vivono dipendenti e volontari della Croce Rossa, per fare attività di formazione e altro. In situazioni straordinarie, come questa e come già successo nel 2008, diventa anche campo di accoglienza per migranti o chiedenti asilo politico”.

Ieri sera c’è stato l’ultimo arrivo.

“Sì, soprattutto di tunisini, quasi tutti di passaggio, vogliono andare in Francia. Sabato ne sono arrivati quasi 60, andati via tra la sera stessa e nei giorni successivi. Lunedì sera altri  42, due sono andati subito via, sono venuti a prenderli degli amici in macchina. Arrivano in pullman, vengono accolti con acqua e cibo, tutti ben contenti di mangiare maccheroni e bistecca. Viene loro fornito un corredo completo di vestiti, asciugamani, eccetera, dormono  nelle stanze con bagno e doccia, le stesse in cui vivono gli operatori. Adesso a Settimo  ce n’è una cinquantina, ma il numero è in continua variazione. È tutta gente con il permesso di soggiorno temporaneo di 6 mesi, passaporto e tutti i documenti,  liberi di andare in Francia, se riescono a passare la frontiera, o dove vogliono. Insomma, la situazione è tranquillissima”.

Intervista di Daniele Pallante

Altre foto su www.marcoalpozzi.it

 

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