Cultura
L’Unione Europea va in frantumi? Colpa di un trauma infantile
Sono bastati tre mesi di rivolte e guerre civili nel Nord Africa per mettere a nudo tutta la debolezza di quel colosso dai piedi d’argilla chiamato Unione Europea. La colpa è nei particolarismi dell’oggi, dettati, magari, dalla contingenza di una situazione economica certo non favorevole? Macché. Per Joseph H. H. Weiler bisogna risalire alle origini di questa strana creatura politica, precisamente a sessant’anni fa. Dunque se un fantasma si aggira per l’Europa, quello della sua Unione, la colpa è da attribuire a un “trauma infantile”. Il titolo della conferenza tenutasi ieri sera nella sede di Intesa San Paolo prometteva bene parlando di profilo psicanalitico dell’Unione Europea. Difficile, di questi giorni, trovare un argomento più caldo e attuale. E il professor Weiler, titolare della cattedra Jean Monnet presso la facoltà di Legge della New York University, non ha deluso le aspettative andando con pragmatismo al nocciolo della questione senza troppi preamboli (e senza traduttore simultaneo): “L’Unione Europea sta vivendo un momento pessimo. Francamente non ricordo un frangente in cui le ‘azioni’ dell’integrazione europea abbiano avuto una quotazione così bassa”. Secondo Weiler alla base della dicotomia fra ideali europeisti e realpolitik vi sono tre fattori. Il primo è il deficit democratico. L’unione che chiede ai propri paesi membri la democrazia come “biglietto d’ingresso” non la pratica, poi, su scala transnazionale: “In Europa esiste una governance senza governo. Nei singoli paesi le elezioni vengono vinte da una corrente politica che esprime alcune linee guida a livello legislativo e amministrativo. Questo non avviene al parlamento Europeo dove non vi è alcuna differenza fra maggioranza di destra e di sinistra visto che, di fatto, le direttive partono da uno staff di tecnocrati”. Weiler cita dati sbalorditivi come l’85% di affluenza alle urne italiane nella prima tornata di elezioni europee del 1979 e il 65% di due primavere fa e sottolinea come il potere decisionale dell’Ue sia cresciuto proporzionalmente allo scetticismo dell’opinione pubblica nei confronti dei reali output legislativi espressi da Bruxelles.
Il secondo punto è, senza dubbio, il più attuale. Weiler cita la guerra in Bosnia e la strage perpetrata ai danni dell’etnia musulmana sotto gli occhi di un’Unione Europea incapace di imbastire una comune strategia di difesa: “L’Europa non possiede i mezzi e la capacità di difendere i valori in cui dice di credere”. O, come è accaduto in Libia, non è capace di esprimere una posizione unitaria in materia di sicurezza e politica estera: “Già nel ’52-’54 fu preparato un trattato per una Comunità europea di difesa ma l’accordo fu respinto dal Parlamento francese. Di recente ho incontrato il Presidente Napolitano a New York e mi ha detto che quello fu un grosso errore”. Il terzo punto è l’assoluta mancanza di un sentimento di integrazione europea: “Se andiamo alle radici dell’integrazione europea scopriamo che la Dichiarazione Schuman (di cui il prossimo 9 maggio ricorrerà il 61° anniversario, ndr) parlava molto di ideali senza mai citare la parola ‘democrazia’. Al contrario, le nazioni europee reduci dalla Seconda Guerra Mondiale fondavano la loro ricostruzione su fondamenti democratici provando disprezzo ed eliminando dalle loro costituzioni ogni riferimento a logiche di messianismo politico”. È in questi tre elementi che risiede il trauma infantile, il peccato originale di un’Europa priva di un fondamento costituzionale radicato nella realtà: “Nella Dichiarazione Schuman non troviamo la parola ‘democrazia’, né ‘struttura democratica’ e questo, col passare degli anni ha fatto sì che si creasse solamente una camera delle chiacchiere. C’è un dato che ha dell’incredibile e che descrive la parabola fra il sogno e la grigia realtà: nella Dichiarazione Schuman contiamo 858 parole, nel Trattato di Lisbona 154.183”. Fuor di metafora: il progetto si è basato su un ideale messianico per niente ancorato al pragmatismo e quando, 46 anni dopo, si è dovuto riformulare il concetto di Unione Europea allora sì che si sono resi necessari fiumi di parole. Ma, secondo Weiler, ormai il tempo era scaduto. E oggi se ne pagano le conseguenze: “Quando si doveva decidere sull’intervento in Libia dov’erano Barroso e i vertici dell’Unione? A decidere sono stati Sarkozy e Merkel”. Punto e a capo.
Iscrivi al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese