Ambiente
La Provincia di Torino (prima in Piemonte) ha un piano “Seveso”. Appena 35 anni dopo…
Sbagliando si impara. E’ un vecchio proverbio, che trova spesso uso nella realtà: una speranza, più che una certezza. E si impara con una certa lentezza, siamo un po’ duri ad apprendere, almeno in Italia: alcune decine di anni. In questo caso parliamo del dramma che il 10 luglio 1976 colpì Seveso, in Brianza. Il reattore chimico dell’Icmesa esplose: una nube di diossina si abbatté sul territorio con gravi ripercussioni sanitarie per i lavoratori e gli abitanti della zona. Tutta la zona intorno all’impianto fu contaminata. Un episodio tragico, da cui nasce la legislatura europea per la prevenzione degli incidenti industriali: a partire dal 1982 tutte le attività produttive a “rischio industriale”, che utilizzano rilevanti quantità di sostanze pericolose e che in caso di incidente possono dare luogo a incendio, esplosione o emissione di sostanze tossiche con pericolo per le persone o per l’ambiente, sono obbligate ad adottare strumenti di pianificazione dell’emergenza e di informazione a tutela della popolazione e dell’ambiente interessato e soprattutto devono, in ogni scelta urbanistica, confrontare impatti e benefici, con un particolare e ben precisa attenzione al rischio industriale.
In Piemonte questo dovrebbe capitare in 103 occasioni. Tanti infatti sono gli stabilimenti classificabili “Seveso”. In provincia di Torino sono 27 e coinvolgono direttamente 20 Comuni: 20 impianti si trovano nel Torinese, 2 nel Pinerolese, uno nella zona di Susa, 4 nella zona di Ivrea. Alcuni Comuni ospitano più di uno stabilimento, per esempio sono 5 a Volpiano, 3 a Grugliasco e 2 a Chivasso. Sono 18 invece i Comuni interessati “indirettamente”, in quanto limitrofi.
E finalmente la regione ha un Piano adeguato e completo, grazie alla Provincia di Torino, prima a tagliare il traguardo di tutto il percorso burocratico-legislativo.
In Italia, con il recepimento della direttiva Seveso e il successivo decreto ministeriale 9 maggio 2001 si è introdotto, nell’ambito degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, l’obbligo di verificare le compatibilità tra i fattori di rischio industriale e le dinamiche dell’urbanizzazione. Nel maggio del 2007 il Consiglio Provinciale di Torino (ed è da elogiare, perchè lo ha fatto ed è stato il primo) ha adottato una specifica variante al proprio Piano territoriale di coordinamento, predisposta con il concorso dei Comuni, in recepimento dei disposti del decreto ministeriale del 2001. La Variante Seveso è stata poi approvata con deliberazione del Consiglio Regionale del Piemonte il 12 ottobre 2010. Si tratta del primo, e a tutt’oggi unico, esempio in Regione Piemonte di adeguamento di un Piano al decreto ministeriale del 9 maggio 2001. La stessa Regione Piemonte, nella predisposizione delle proprie Linee guida per la valutazione del rischio industriale nell’ambito della pianificazione territoriale, ha tratto ampiamente ispirazione e riferimento dalla Variante “Seveso” al Piano della Provincia di Torino, condividendone lo spirito e presentandola come valido riferimento per le altre Province piemontesi.
Il Piano, in sostanza, individua gli interventi e le misure di prevenzione del rischio e di mitigazione degli impatti con riferimento alle diverse destinazioni del territorio, in relazione alla prevalente vocazione residenziale, industriale, infrastrutturale, etc… I Comuni, che nei giorni scorsi si sono riuniti in Provincia per conoscere nel dettaglio il provvedimento, hanno 18 mesi per adeguarsi.
La Variante detta norme e linee guida ad uso dei Comuni e dei gestori: definisce le “aree di osservazione” all’interno delle quali effettuare le verifiche di compatibilità tra lo stabilimento e gli elementi territoriali esistenti o previste dal piano regolatore (ad es. zone a destinazione prevalentemente residenziale, ospedali, case di cura, case di riposo, asili, scuole, centri commerciali, centri per servizi, strutture ricettive,…); richiede ai Comuni e ai gestori degli stabilimenti “Seveso” di identificare e valutare gli assi e i nodi viari e le reti tecnologiche e di prevedere opportune soluzioni per la compatibile coesistenza con gli stabilimenti a rischio in caso di incidente; individua zone ad “altissima vulnerabilità ambientale” nelle quali è fatto divieto di installazione di nuovi stabilimenti a rischio di incidente rilevante, zone a “rilevante vulnerabilità ambientale” dove la presenza di nuovi stabilimenti è subordinata ai risultati di una relazione tecnica di microlocalizzazione e progettazione, e zone a “ridotta vulnerabilità ambientale”.
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