Cultura
La provincia cechoviana di Paravidino
Maria è in bilico fra Fulvio che la ama per abitudine e Fabrizio che la ama quasi per caso. Marta sacrifica la propria giovinezza per stare con il padre infermo, precocemente invecchiato dopo la morte della moglie. Il terzo fratello è Gianni che sembra vedere meglio di tutti gli altri La malattia della famiglia M ovverosia l’incapacità di vivere a pieno la vita, slegandosi dal passato e tuffandosi senza rete nei giorni a venire. Tre fratelli e un padre, in un paese di provincia, due amici che smettono di esserlo per amore della stessa ragazza, un medico che è testimone e coro della storia. C’è molto Checov nel dramma di Fausto Paravidino che ha debuttato ieri sera alle Fonderie Limone di Moncalieri, in queste vite irrisolte che non progrediscono, non evolvono, rimanendo ancorate a un passato che “ammala” con le sue parole, le ipocondrie e le rimozioni. Mentre Marta si immerge nel sacrificio e Maria, vinta dalla timidezza, è incapace di respingere chiunque la corteggi, Gianni pur nella sua apparente superficialità, sembra essere l’unico a vedere veramente le cose. Arriva da lui l’unica ribellione all’ordine/disordine della famiglia M: “Vado a cercare qualcosa di diverso da voi” dice prima di allontanarsi da casa per un giro in auto che porterà al climax. Ed è lui a consigliare alle sorelle e al padre di vivere con più fantasia, di andare oltre l’asfissiante ripetitività del quotidiano.
Scritto ad appena 23 anni, il testo di Paravidino ha i suoi punti forti nell’immediatezza, nella semplicità e nella freschezza. La regia è sobria e gioca sulle specularità caratteriali delle due sorelle (Emanuela Galliussi e Iris Fusetti) e dei due amici (Jacopo Maria Bicocchi e Pio Stellaccio), anche se l’interpretazione più convincente viene da Nicola Pannelli che incarna il ruolo del padre. Molto efficaci sono anche i fondali, specialmente nelle scene che evocano il temporale e la nevicata. E poi ci sono due alberi spogli, il giardino dei ciliegi non è distante e indica la strada.
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