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Cultura

Da Giuseppe Verdi alla Bella Gigogin: il Risorgimento in musica con la Stefano Tempia

Redazione Quotidiano Piemontese

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Questo periodo di celebrazioni è anche un tempo di riscoperta: le vicende del nostro Risorgimento, stanche di essere rinchiuse nei libri di storia, sono tornate alla ribalta. Ieri sera lo hanno fatto a suon di musica, col concerto proposto dall’Accademia Stefano Tempia. Nel salone del Conservatorio di Torino addobbato a festa, con artisti e ospiti in coccarde tricolori, il coro dell’Accademia diretto da Michele Frezza e la Corale di Sommariva Bosco guidata da Adriano Popolani si sono uniti per far rivivere canti e inni dell’Ottocento Italiano. Sponsor della serata il gruppo Sagat (gestore dell’aeroporto di Caselle) che ha voluto così festeggiare i 150 anni di Italia unita.

Il concerto è il risultato di un lavoro di ricerca che ha portato Guido Maria Guida, direttore artistico della Stefano Tempia, in giro per gli archivi italiani a caccia di spartiti. Come punto di riferimento principale è stato scelto un libro del 1930, L’anima musicale della patria di Achille Schinelli, una miniera di inni, canti e marce. Così, accanto a brani tratti dalla grande tradizione operistica, da Rossini a Donizetti a Verdi, sono tornati alla luce lavori ormai pressoché sconosciuti e non più eseguiti da tempo, come gli inni celebrativi per re Carlo Alberto. Un’esecuzione brillante quella del coro: con solennità, ma anche con sguardo divertito e senza rinunciare a un pizzico di ironia, direttore e interpreti hanno saputo far assaggiare al pubblico lo spirito di un’epoca. In tempi di grande idealismo e guerre atroci, gli inni di riscossa italica, sempre bardati di retorica ma non per questo meno autentici, riuscivano a dar coraggio e rinfrancare gli animi, con quella capacità tutta loro di dribblare la testa e andar dritti ai sensi.

I canti sono stati commentati dalla voce espressiva dell’attore Mario Brusa, che ha alternato la rievocazione storica con pagine letterarie da Leopardi, Manzoni, Carducci e tanti altri. Il pubblico ha risposto con entusiasmo: tutti in piedi nell’immancabile Fratelli d’Italia conclusivo. L’occasione ha permesso di rivalorizzare alcune chicche, come Suona la tromba, musica di Giuseppe Verdi su testo di Mameli: avrebbe potuto diventare l’inno nazionale se per una serie di vicissitudini non fosse finito nel dimenticatoio. O come la Bella Gigogin, canto che ha dato il titolo al concerto e che nasconde un significato politico. E’ una specie di messaggio in codice, un’esortazione ad attendere (“bisogna aver pazienza”) l’intesa tra Vittorio Emanuele e Napoleone III (“lassalla maridà”) prima di dare inizio alle azioni militari (“dàghela avanti un passo”). Storie di uomini eroici, e anche di donne, come la madre dei Fratelli Cairoli (celebrata in uno stornello eseguito, insieme con altri brani, dal soprano Francesca Rotondo) o come Tonina Marinello, la garibaldina, che se non fosse stata donna si sarebbe guadagnata una medaglia da soldato. Ma in fondo “che fa la medaglia e tutto il resto? Pugnò con Garibaldi e basti questo”.

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