Ambiente
SPECIALE NUCLEARE QP. Greenpeace, le ragioni del no passano per le rinnovabili
La centrale nucleare di Fukushima continua a preoccupare la comunità internazionale, mentre la tragedia sembra aver dato nuova linfa ai movimenti antinuke sparsi per il mondo, dalla Germania alla Francia, passando per l’Italia: “Con le centrali nuove il disastro di Fukushima sarebbe successo? Non si può dire, ci sono troppe variabili. In questa occasione il problema è stato lo tsunami, che ha coinvolto i motori a gasolio, una tecnologia ovviamente non avanzata”, spiega a Quotidiano Piemontese Salvatore Barbera, responsabile della campagna nucleare di Greenpeace, nonché fisico nucleare: “La centrale nucleare è un sistema complesso, non c’è solo il reattore, il nucleo, ma anche tutta una parte di ingegneria civile. Con i reattori di terza generazione le scorie sono ancora a più alta intensità e non esistono centri di stoccaggio permanenti”. Le ragioni per dire no, oltre alle scorie, per Barbera sono economiche: “Il nucleare funzionava negli anni ’70, ora con le liberalizzazioni non è conveniente. Una centrale costa 7 miliardi di euro e va tenuta in funzione per 40 anni; sarebbe meglio puntare sul gas, che è a oggi il sistema migliore di transizione dai fossili al rinnovabile”. Per il futuro Barbera non ha dubbi: “Il ritorno al nucleare rischia di bloccare gli investimenti alle rinnovabili. Ci sono piani per produrre con folti alternative il 90% dell’energia entro il 2050”. Il rapporto tra l’Italia e il nucleare è – se vogliamo – ancora più complicato dello stabilire se le centrali di terza generazione siano o meno più sicure di quelle del passato.
Il governo ha presentato un piano, ma non ha ancora dato indicazioni sui siti prescelti, mentre nella serata di lunedì il sottosegretario Stefano Saglia ha delegato alle regioni l’ultima parola sulla scelta pro o contro il nucleare: “L’esecutivo di Berlusconi non ha ancora dato indicazioni su dove intendano costruire – attacca Barbera – una cosa che chiediamo fortemente anche in vista del referendum (tra maggio e giugno, ndr)” Una cosa è certa: le aree devono essere “poco popolate, con grandi quantità d’acqua e ovviamente non sismiche”. Tradotto in parole povere, si parla di Piemonte, Sardegna, Lazio e Veneto. Ma la parola d’ordine, per Greenpeace, è solo una: “Rinnovabili: sono l’energia del futuro e creano posti di lavoro”.
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