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Cultura

“Fare gli italiani”, alle Ogr apre la fabbrica di un popolo. Guarda la fotogallery

Davide Mazzocco

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Non poteva che essere in una fabbrica. La mostra Fare gli italiani, aperta al pubblico da quest’oggi sino al prossimo 20 novembre, trova la propria sede ideale in quelle due cattedrali del lavoro che sono le Officine Grandi Riparazioni di corso Castelfidardo 22, perché – come ha ricordato il direttore artistico Paolo Rosa di Studio Azzurro – “non si tratta di una mostra rituale ma di un laboratorio”. “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” disse Massimo D’Azeglio ed è proprio partendo da questo imperativo categorico che si sviluppa l’idea di un expo teso a descrivere gli elementi che hanno contribuito a creare un’identità nazionale ma, lungi da ogni descrizione agiografica, anche quei fattori che hanno diviso gli italiani e che hanno alimentato le divisioni interne. L’approccio dei curatori scientifici Walter Barberis e Giovanni De Luna, entrambi docenti dell’Università di Torino, è scevro da ogni pregiudizio storiografico e si concentra non sulla fabbrica dell’Italia (per quello si può visitare il Museo Nazionale del Risorgimento) ma su quella degli italiani.

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I binari seguiti dalla mostra (e di binari si può ben parlare alle Ogr….) sono due: uno di tipo cronologico e l’altro di tipo tematico. Nel primo caso vi sono otto Correnti trasparenti e tridimensionali sulle quali vengono descritti cronologicamente gli eventi politici, sociali, artistici e sportivi degli ultimi due secoli di storia. Nel secondo caso vi sono tredici Isole che hanno il compito di indicare in sintesi quali sono stati i fenomeni che hanno influito maggiormente sul profilo degli italiani. Ciascuna isola è collocata all’interno del flusso cronologico a seconda della maggiore rilevanza del tema rispetto alle varie fasi della storia italiana. Si comincia così con l’Italia delle città (con gli sfondi delle otto capitali degli stati preunitari), per proseguire con le campagne che saranno a lungo le zone più refrattarie ai processi di unificazione nazionale. Dalle macchine da lavoro si passa poi ai banchi di scuola per proseguire con le processioni religiose. Scuola e Chiesa, dunque, come territori nei quali si crea l’embrione di un sentire comune. Ci sono poi le migrazioni descritte con una suggestiva rete contenente centinaia di valige, borse, bauli e borsoni.

I cannoni della Grande Guerra annunciano una nuova era: per la prima volta gli italiani imparano a conoscersi e, lontani da casa, sono costretti a comunicare per lettera, quindi a imparare a scrivere in italiano. Il conflitto del ’15-’18 è dunque il primo vero banco di prova per l’Unità nazionale, mentre quello del ’40-‘45 è il confronto di un’intera popolazione con il dramma della guerra. Nel dopoguerra le fabbriche sono il motore dello sviluppo economico che viene favorito anche dall’allargamento delle infrastrutture. Un’area è dedicata al fenomeno delle mafie e un’altra a quello dei consumi con un’enorme catalogo virtuale dei prodotti di consumo più diffusi negli anni Cinquanta. E ancora la partecipazione politica e i mezzi di comunicazione di massa, passaggi fondamentali per Fare gli italiani. All’ingresso il visitatore è accolto da uno scenario ipnotico costituito dalla presenza di una moltitudine di busti dei personaggi più rappresentativi dell’Italia preunitaria. Sono Garibaldi, Cavour, Mazzini, Cattaneo, Gioberti, Manzoni, politici, ideologi e attivisti che hanno immaginato l’Italia prima che questa fosse una. Nell’area seguente – che anticipa l’ingresso nell’esposizione vera e propria trovano spazio i quadri di alcuni pittori militanti come Hayez, Gastaldi, Canella che utilizzarono le forme della pittura per dare forma alla cronaca, all’allegoria e all’epica.

Se è vero che le grandi esposizioni si possono dividere in due categorie, a seconda della prevalenza dei contenuti o della forma, Fare gli italiani è senza dubbio una mostra di allestimento. Sono le scenografie, la loro sapiente disposizione, gli effetti speciali a conquistare lo spettatore con l’effetto spiazzante degli accostamenti fra vecchi trattori e immagini ologrammatiche, interazioni multimediali e vecchi banchi di scuola, incorporei fasci di luce e pesantissime macchine da lavoro. E poi c’è il contenitore che basterebbe da solo, nudo e spoglio, a far riflettere su un paese capace di costruire capolavori ovunque ma che continua a essere un cantiere aperto nel consolidare la propria identità.

 

 

 

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