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Ambiente

Speciale. Qualità dell’aria, una sfida scientifica non ideologica. La situazione: ieri, oggi, domani

Redazione Quotidiano Piemontese

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tabsmogLa qualità dell’aria è questione di naso, occhi, gola, ma soprattutto di scienza. Approfondiamo la questione partendo da dati e ragionamenti tecnici, per affrontare “laicamente” la questione della qualità dell’aria.
Tanto per cominciare guardiamo al passato. Se si ferma un passante e si chiede: le città sono più inquinate oggi o dieci anni fa, al 100% la risposta sarà: oggi.  Perché siamo bombardati da immagini del pianeta con la febbre, di ciclisti con la mascherina e di croste di smog sulle ringhiere dei balconi. La verità scientifica però è diversa, anzi opposta. Se contiamo i giorni di superamento del livello di Pm10 nell’aria (che l’Europa fissa a 35 l’anno come limite oltre il quale gli amministratori devono dimostrare di adottare provvedimenti per non incorrere in pesanti multe), scopriamo che nel 2000 Torino – dati rilevati alla centralina Grassi che è posizionata sullo svincolo per Caselle – sforò oltre 260 volte e dal 2008 sta stabilmente sotto quota 150. [imagebrowser id=24]
Da dove viene dunque questa “puzza”? E perché ci occupiamo così tanto di ambiente oggi se le cose dieci anni fa erano decisamente peggiori e stiamo migliorando? Sicuramente perché vi è una sensibilità maggiore, perchè si scoprono sempre più precisamente e approfonditamente – come in molti altri casi – le conseguenze sulla salute umana, ma anche perché il saldo globale del pianeta è ahimè assai in rosso, a causa anche del ritmo di crescita forsennato dei paesi in via di sviluppo, vedi Cina e India, peggiorando la situazione globalmente.
Rispetto quindi alle cappe di carbone del passato, le nostre città oggi respirano meglio, merito delle nuove tecnologie di riscaldamento e di controllo sui fumi industriali, dei motori puliti oggi pressochè obbligatori sui veicoli privati, molto meno per le misure di limitazione del traffico, soprattutto se saltuarie e locali. Ma non basta ancora.
La posizione geografica del Piemonte – ma lo stesso discorso si può fare, senza troppe variazioni per l’intera pianura padana, non a caso la più inquinata d’Europa – è una condanna. Non ci sono grandi venti e le montagne schermano la dispersione degli inquinanti. Hai voglia a ripulire, lo “schifo cittadino” ti resta sempre sulla testa, anzi, al massimo se ne va sulla testa di chi non ha colpa. Come capita ad esempio a Ceresole, che ha una delle stazioni con il più alto livello di ozono del nord d’Italia – 82 chilometri da Torino, 1626 di altitudine: è montagna – o nel novarese, che a causa della direzione preponderante dei venti, “vince” gran parte delle polveri prodotte a Milano.
È colpa dell’orografia, ovvero delle montagne che frenano i venti. Ma è soprattutto colpa del meteo, che in queste zone, peraltro, regala anche poco vento e che nessuna politica ecologica può controllare. È infatti responsabilità di sole e pioggia, poca per la verità, se a febbraio Torino esaurisce i 35 bonus Pm10 che ha a disposizione per tutto l’anno; è colpa del meteo se dopo due giorni di neve – un ottimo pulitore dell’aria – appena arriva il sole il livello di polveri nell’aria si impenna. “E’ come se si mettesse una pellicola film sopra la città – spiegano i tecnici – una sorta di coperchio, che impedisce alle polveri di disperdersi”.
Che senso ha quindi la misurazione? Come si fa? E dove? Ce lo siamo fatti spiegare da Mauro Grosa e Francesco Lollobrigida, rispettivamente responsabile regionale e torinese della qualità dell’aria all’interno di Arpa Piemonte. “Il sistema regionale conta su 68 cabine fisse di misurazione, più 6 veicoli mobili, che vengono adoperati per misurazioni ‘di crisi’ o in caso di nuovi insediamenti industriali. Le ‘cabine’ analizzano, con modalità differenti e non tutte insieme, 13 inquinanti: un cocktail tossico che misura la qualità dell’aria delle nostre città e che, come si è detto prima, sono tutt’altro che stabili ma anzi se ne vanno a zonzo nel cielo”.
Anche sul posizionamento delle cabine, il senso comune va contro la scienza. Se servono a captare gli effetti del traffico, saranno posizionate dove si ammassano i veicoli: rotonde, incroci, grandi assi di collegamento cittadino. E invece no, quantomeno non solo. Le “casette” se ne stanno spesso nei parchi o nelle zone residenziali. In fondo è logico: pochi vivono su una rotonda e l’obiettivo delle misurazioni non è astratto, ma strettamente connesso alla salute umana. A Torino le centraline sono 6: via della Consolata; la Grassi, in via Reiss Romoli; piazza Rebaudengo; corso Francia, all’altezza del cavalcavia alle porte di Collegno, corso Marche e le due piazzate nei parchi: una al Lingotto, l’altra al parco Rubino, in corso Salvemini. Una copertura buona, ma non capillare che offre, comunque, risultati sostanzialmente omogenei tra i diversi punti di misurazione. “La tendenza ora – spiegano i tecnici di Arpa – è ridurre i punti. Storicamente in Italia ci sono più centraline che nel resto d’Europa. Parigi e l’area metropolitana ne hanno 30 in tutto con una popolazione superiore a quella dell’intero Piemonte. Torino si è adeguata alla linea del risparmio”. Un contenimento che fa bene al portafoglio – la manutenzione delle 68 centraline costa all’Arpa oltre 1.4 milioni di euro all’anno, oltre 20 mila euro a postazione – ma che è ininfluente per quanto riguarda l’attendibilità dei dati. “Se si guarda il Pm10 a Torino o a Milano, non cambia poi molto”.
Da qui la necessità di misure sistematiche di contrasto allo smog, che vadano ben oltre i confini cittadini e persino regionali. Quali? Difficile dirlo, almeno se la base di ragionamento è solo la pratica, che è soggetta a troppe variabili. I tecnici stimano l’incidenza in 60% dai gas di scarico dei mezzi di trasporto, 20% a testa riscaldamento ed emissioni industriali. Sicuramente fanno bene motori moderni, riscaldamenti ecologici ed emissioni pulite. Ma blocchi del traffico, zone a traffico limitato e aree chiuse, son come la pubblicità delle caramelle Dufour per le questioni di cuore, “non bastano, ma aiutano”. Soprattutto aiutano ad allontanare le multe europee.
La soluzione per la qualità dell’aria delle nostre città sta tutta in una programmazione politica, di medio e lungo termine, che punti a rimuovere le cause, più che a curare gli effetti. E che soprattutto non corra dietro al sentire comune e ai numeri, perché sono troppi i fattori in gioco. Solo una precisa modellistica matematica alla quale sta mettendo mano Arpa Piemonte – ad esempio, ma capita anche in altre regioni d’Italia – per poter aver una serie di scenari e sulla base di quelli operare le decisioni a difesa dell’ambiente e della qualità della vita di chi ci abita.
Ecco perché Arpa sta mettendo a punto, in collaborazione con la Regione Piemonte, una serie di scenari. Veri e propri modelli matematici in grado di testare a priori l’efficacia potenziale di alcune misure, in modo da orientare la pianificazione degli interventi strutturali dei prossimi anni. Ci aveva già provato l’Emilia Romagna, con risultati poco incoraggianti. “Facciamo finta che domani spegniamo tutti i riscaldamenti – aveva chiesto il presidente Vasco Errani ai suoi tecnici – e fermiamo tutte le macchine e tutte le fabbriche: avremo un aria pulitissima?” No, avremo la stessa aria di sempre. Perché nessun uomo è un’isola e a Bologna arriva lo smog di Milano, sebbene si trovi nella propaggine sud della famigerata pianura padana.
Ricapitolando: l’aria è cattiva per colpa delle fonti, che si possono modernizzare con effetti positivi che sono percepibili con chiarezza dai grafici dal 2000 a oggi e che portano i tecnici a dire che se il green trend resta questo, Torino potrebbe avere le carte in regola entro la fine di questo decennio (max 35 giorni all’anno di superamento del livello massimo di Pm10 nell’aria).

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