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Cultura

Quattro donne e uno sciamano, intervista con Federica Garbolino

Gabriele Farina

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E’ uscito per i tipi di Edizioni Creativa Quattro donne e uno sciamano di Federica Garbolino. Si tratta del racconto di un viaggio intrapreso da quattro donne nella foresta amazzonica peruviana per incontrare uno sciamano, che dovrà provare a curare un tumore di cui è malata una delle quattro ragazze e per il quale la medicina occidentale ha già fatto quanto era possibile.

Un viaggio quindi, ma più che un viaggio fisico si tratta di un viaggio psicologico, che porterà le quattro protagoniste a cambiare il loro modo guardare il mondo e a ristabilire le priorità della loro vita. La recensione completa la trovate qui.

Federica Gabolino ha risposto alle nostre domande.

Un viaggio fisico ma soprattutto un viaggio psicologico e alla scoperta di nuove priorità. Come è nata la necessità di raccontare questo viaggio?

Il libro nasce da un impegno preso molti anni fa con un’amica, che è la protagonista della storia, a cui avevo promesso che avrei raccontato la sua esperienza di vita e di viaggio. Il libro infatti è tratto da una vicenda realmente accaduta. Questa promessa si è poi sposata con il piacere che ho sempre avuto per la scrittura, che finora avevo utilizzato solo in ambito lavorativo (in gioventù ho fatto la copywriter e ancora adesso scrivo articoli e libri sull’innovazione nell’ambito dell’apprendimento e della comunicazione, in particolar modo quella mediata dalle tecnologie). Scrivendo la storia di Lucia, ho mantenuto vivo il suo ricordo.

Quanto la tua formazione da psicologa ha influito su questo romanzo?

Molto direi. Sia nell’interpretazione degli avvenimenti, sia nei riferimenti a fatti specifici. Il libro è una storia di amicizia e di scoperta di sé, che affronta temi su cui tutti ci interroghiamo, ma con leggerezza, senza drammatizzare, e con uno sguardo psicologico. Parlando in termini junghiani, possiamo infatti considerare il viaggio nella foresta amazzonica come un percorso di “individuazione”, ovvero quel percorso di ricerca del sé che consente a una persona di diventare un in-dividuo, un essere non diviso, che ha integrato le proprie luci e le proprie ombre. Anche i profili psicologici delle protagoniste fanno riferimento a quattro classici “tipi” junghiani. La trance ipnotica e la lettura degli effetti dell’ayuhuasca (la pianta utilizzata nei riti di purificazione e che provoca allucinazioni) traggono invece origine dai miei studi sull’ipnosi (ho frequentato la scuola del prof Granone delle Molinette) e da quelli di neuroscienze, che è sempre stata una mia grande passione e, per un certo tempo, anche un lavoro.

Due mondi molto lontani che però le protagoniste riescono ad integrare quasi in un’unica filosofia, in un unico modo di vivere nuovo. Medicina tradizionale, sciamanesimo, religione, spiriti della foresta, non sono forse così antitetici…

Nel libro non si prende posizione né a favore di un approccio, né di un altro. Le protagoniste stesse imparano a convivere con modi diversi di concepire la malattie e la guarigione, mettendo in discussione pregiudizi e stereotipi, integrando le differenze di visioni. In fondo, si tratta di strade diverse che vanno alla ricerca della stessa cosa, della guarigione e, più in generale, del miglioramento dello stato di benessere fisico e psicologico della persona. La fiducia che le popolazioni indigene hanno verso lo sciamano e le sue terapie non è molto diversa dalla fiducia che noi occidentali riponiamo nel medico o nelle medicine. Inoltre, molte erbe utilizzate dagli sciamani contengono principi attivi oggi studiati dalla farmacologia occidentale. Il pensiero sciamanico è molto attento alla persona nella sua interezza. Anche la nostra medicina sta diventando sempre più attenta a una visione olistica del paziente, e a riconoscere la stretta correlazione fra mente e corpo.

Nel romanzo non c’è scritto, ma il viaggio parte da Torino… qual è il tuo rapporto con la città?

Ottimo! Torino per me è una città ideale, a misura d’uomo: grande a sufficienza per offrire molte opportunità di svago e culturali, ma non così megalopoli da rendere la vita anonima o obbligarti a passare le ore nel traffico per andare a trovare un’amica. Ricca di storia, vicina sia alle montagne che al mare, ben organizzata. Abito vicino al fiume e non mi stanco mai di guardare con ammirazione i colori della città al calare della sera, quando le luci si accendono e sembra di essere un po’ a Parigi. A Torino lavoro e, anche se mi sposto spesso in trasferta, torno sempre con grande piacere a casa.

Immaginando una trasposizione cinematografica del romanzo, quali attori ti piacerebbe vedere interpretare i tuoi personaggi?

Qui tutto dipende da quanto vogliamo sognare in grande.

Pensando a un casting italiano, Lucia, la protagonista, potrebbe essere interpretata da Ambra Angiolini, Francesca da Giovanna Mezzogiorno, Arianna da Kasia Smutniak, Giorgia da Anna Foglietta.

Per lo sciamano ci vorrebbe un attore sudamericano, intorno ai 50 anni: potrebbe essere Blas Boca-Rey, che, se non sbaglio, è proprio di origini peruviane.

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