Cultura
Alberto Barbera direttore a Venezia, ecco come cambiano i film festival italiani
Chiamatelo “effetto domino” o “butterfly effect” ma la rivoluzione scatenata dal ritorno di Alberto Barbera alla guida del Festival del Cinema di Venezia sembra destinata a mutare il volto del sistema festivaliero nazionale. Il curriculum di Barbera parla da solo: nato a Biella nel 1950, il critico è stato presidente dell’Aiace torinese dal 1977 al 1989. Nello staff del Torino Film Festival (all’epoca Festival Internazionale Cinema Giovani) sin dalla prima edizione (1982) ne è stato direttore per dieci anni, dal 1989 al 1998. Nel 1999 Barbera viene chiamato a guidare la Mostra di arte cinematografica di Venezia. Nel triennio da direttore della Biennale Barbera affianca ai palazzi storici nuove strutture o edifici ristrutturati appositamente per il festival, migliorando i collegamenti fra le varie aree della kermesse, s’inventa la sezione Cinema del presente e con grande “fiuto” porta a Venezia film che diventeranno dei veri e propri “cult” come Memento di Christopher Nolan, Fight Club di David Fincher, Essere John Malkovich di Spike Jonze, The Others di Alejando Amenabar, Non uno di meno di Zhang Yimou, Il cerchio di Jafar Panahi e Monsoon Wedding di Mira Nair.
L’evento clou della sua gestione è senza dubbio l’anteprima mondiale e postuma di Eyes Wide Shut, ultima opera di Stanley Kubrick. Dopo l’edizione del 2001 Barbera viene sostituito da Moritz De Hadeln su pressione dell’allora ministro della Cultura Giuliano Urbani. Nel 2004 assume la carica di direttore del Museo del Cinema portando a Torino molti importanti registi internazionali e creando proficue sinergie con i numerosi festival torinesi. Molti dei “colpi” delle ultime stagioni (pensiamo alle presenze di Michael Cimino a Cinemambiente e Alan Parker a Sottodiciotto in questa stagione o a quelle di Wim Wenders e Roman Polanski negli scorsi Tff) sarebbero stati sicuramente più difficili senza il peso di Barbera che – tanto per fare un esempio – nel 2010 è stato giurato al Festival di Cannes al fianco di Tim Burton, Giovanna Mezzogiorno, Kate Beckinsale, Benicio Del Toro, Emmanuel Carrere e Shekhar Kapur. Quali sono gli obiettivi di Barbera per il suo quadriennio 2012-2015? Uno: migliorare la logistica. Due: coniugare – tanto più in un periodo di austerity – arte e mercato. Tre: creare una sorta di “incubatore” permanente per i giovani talenti. Barbera continuerà a guidare anche il Museo nazionale del Cinema ma il ruolo di Donata Pesenti Compagnoni, da trent’anni erede della fondatrice Maria Adriana Prolo, dovrebbe essere più consistente.
A Roma Piera Detassis verrà sostituita da Marco Muller, nome fortemente sostenuto dal duo Gianni Alemanno-Renata Polverini. Il presidente Gian Luigi Rondi avrebbe gradito proseguire con una direttrice che ha portato grandi risultati (ma d’altronde chi non li avrebbe ottenuti con un budget addirittura superiore a quello di Venezia?) ma a dettare l’agenda è la politica e il centro destra che aveva insediato Muller in Laguna pare intenzionato a piazzare un uomo di sensibilità affine alla guida della kermesse capitolina. Gli altri nomi di questi giorni – Gianni Letta, Paolo Mieli e Paolo Ferrari, presidente uscente della Warner Italia e ex presidente Anica – sembrano essere relegati a ruolo di outsider.
E Torino? Il nostro Festival proseguirà con Gianni Amelio ed Emanuela Martini, coppia collaudatissima e affidabile che in questi tre anni ha fatto miracoli se si pensa quanti e quali film è riuscita a portare all’ombra della Mole con un budget di circa 2 milioni di euro, una cifra notevolmente inferiore ai 13,5 milioni della Festa del Cinema di Roma e agli 11-12 milioni di Venezia. Poi si dovrà pensare alla successione e – visto che la cassa del Tff è gestita dal Museo del Cinema – il peso politico di Barbera potrebbe essere determinante per attrarre un grande nome. Insomma contrariamente a quanto si può pensare Torino ha solo da guadagnarci. Dopo MiTo per la musica, nascerà anche un VeTo per il cinema? Può essere, sempre che la politica non metta il veto con la minuscola…
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